ROMA – Nel 2017 l’economia non osservata vale circa 211 miliardi di euro, il 12,1% del Pil. E’ quanto emerge dall’ultimo rapporto Istat in cui si precisa che l’economia sommersa ammonta a poco meno di 192 miliardi di euro e le attività illegali a circa 19 miliardi. Le stime per il 2017 confermano la tendenza alla riduzione dell’incidenza sul Pil della componente non osservata dell’economia dopo il picco del 2014 (13,0%). Oltre il 40% del sommerso è concentrato in Italia in un unico settore, quello del commercio. Il 41,7% del sommerso economico, viene precisato, si concentra nel settore del Commercio all’ingrosso e al dettaglio, trasporti e magazzinaggio, attività di alloggio e ristorazione, dove si genera il 21,4% del valore aggiunto totale. Analogamente l’incidenza relativa del ricorso al sommerso è alta negli Altri servizi alle persone ed è pari al 12,3% del sommerso economico, pur contribuendo il settore solo per il 4,1% alla formazione del valore aggiunto totale. Più in dettaglio, nel 2017 il valore
aggiunto generato dall’economia non osservata, ovvero dalla somma di economia sommersa e attività illegali, si è attestato a poco meno di 211 miliardi di euro (erano 207,7 nel 2016), con un aumento dell’1,5% rispetto all’anno precedente, segnando – spiega l’Istat – una dinamica più lenta rispetto al complesso del valore aggiunto, cresciuto del 2,3%. L’incidenza dell’economia non osservata sul Pil si è perciò lievemente ridotta portandosi al 12,1% dal 12,2% nel 2016, e confermando la tendenza in atto dal 2014, anno in cui si era raggiunto un piccodel 13%. La diminuzione rispetto al 2016 è interamente dovuta alla riduzione del peso della componente riferibile al sommerso economico (dal 11,2% al 11,1%), mentre l’incidenza dell’economia illegale resta stabile (1,1%). Guardando alla composizione dell’economia non osservata,
ovvero il peso percentuale che ciascuna componente ha sul totale dell’economia non osservata, la correzione della sotto-dichiarazione del valore aggiunto risulta essere la componente più rilevante in termini percentuali: nel 2017 pesa il 46,1% (+0,3 punti percentuali rispetto all’anno precedente). Il valore aggiunto generato dall’impiego di lavoro irregolare costituisce la seconda componente in termini di peso sul totale, attestandosi nel 2017 al 37,3% (-0,5 punti percentuali rispetto al 2016). L’Istat evidenzia una tendenza al calo del peso di questa componente dal 2014, quando si è registrato un valore pari a 38,2%. L’incidenza delle altre componenti dell’economia sommersa
(mance, fitti in nero e integrazione domanda-offerta) si attesta al7,6%, rimanendo sostanzialmente stabile rispetto al 2016. Il peso delle attività illegali invece presenta un andamento crescente dal 2014. In particolare, aumenta di 0,3 punti percentuali rispetto al 2016, portandosi nel 2017 al 9,0%. L’incidenza del lavoro irregolare, rileva l’Istat, è più elevata nel settore dei servizi (16,8%) e raggiunge livelli particolarmente elevati nel comparto degli altri servizi alle persone (47,7%) dove la domanda di prestazione lavorative non regolari da parte delle famiglie è rilevante. Molto significativa risulta la presenza di lavoratori irregolari anche in agricoltura (18,4%), nelle costruzioni (17,0%) e nel commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (15,8%). In termini assoluti, nel comparto del commercio e quello degli altri servizi alle persone sono impiegate il 61% del totale delle unità di lavoro non regolari (il 63,9% delle Ula dipendenti e il 54,1% delle Ula indipendenti). Nell’industria in senso stretto, dove la diffusione del lavoro irregolare è contenuta (7,6%), il comparto della produzione di beni alimentari e di consumo presenta il tasso di irregolarità più elevato (9,3%). Il confronto tra settori evidenzia che in agricoltura l’incidenza del lavoro irregolare dipendente è quasi 5 volte superiore a quello del lavoro indipendente (rispettivamente 38,3% e 7,8%), mentre negli altri servizi alle imprese e nel comparto istruzione, sanità e assistenza sociale, il tasso di irregolarità degli indipendenti è oltre il doppio di quello dei dipendenti. Nel 2017 le attività illegali hanno generato un valore aggiunto pari a 18,9 miliardi, 0,8 miliardi in più del 2016. Secondo l’ultimo rapporto Istat sull’economia non osservata, i consumi finali di beni e servizi illegali sono invece ammontati a 20,3 miliardi (+0,9 miliardi sul 2016), l’1,9% della spesa per consumi finali. Tra 2014 e 2017 la crescita delle attività illegali è stata pari a 2,4 miliardi per il valore aggiunto e 2,7 miliardi per i consumi finali delle famiglie (con un aumento medio annuo rispettivamente del 4,7 e
4,9%), determinata prevalentemente dal traffico di stupefacenti. Nel 2017 il valore aggiunto sale a 14,4 miliardi e la spesa per consumi raggiunge i 15,7 miliardi con un incremento medio annuo nel periodo di circa 5,8 punti percentuali per entrambi gli aggregati. Nel periodo è invece modesta la crescita della prostituzione. Nel 2017 sia il valore aggiunto sia i consumi si attestano a 4 miliardi, come nel 2014. Il contrabbando di sigarette nel 2017 rappresenta il 2,5% del valore aggiunto complessivo (0,5 miliardi) e il 3,2% dei consumi delle famiglie – ANSA –