TERAMO –  Le donne del centro Arendt si stringono al dolore dei familiari e abbracciano la figlia di Mihaela Roua, la giovane donna uccisa dal compagno Cristian Daravoinea dal quale aveva deciso di separarsi. Quello di Mihaela è femminicidio, ossia l’omicidio di una donna basato sul genere, l’ennesimo nel territorio teramano e nel Paese. Il femminicidio, gravissima violazione dei diritti umani,  è la punta di iceberg delle altre forme di violenza che le donne subiscono in ogni ambito sociale e lavorativo e nel “nido d’amore” delle mura domestiche, molto spesso in silenzio. La determinata volontà di Mihaela di non essere ‘cosa’ di proprietà di un uomo ha scatenato l’irrefrenabilità di chi è cresciuto, inconsapevolmente e suo malgrado, ostaggio della millenaria cultura patriarcale della virilità che, inibendo le umane emozioni, si misura sulla dedizione e l’arrendevolezza delle donne rendendo insopportabile che esse facciano scelte di libertà, abbiano una vita propria. Le statistiche ci dicono che in Italia sono uomini senza precedenti penali a compiere la maggioranza dei femminicidi, sono loro ad uccidere l’80% delle donne e il 90% degli uomini (Istat 2019). La violenza, il dominio dell’uomo sulla donna, è frutto della cultura condivisa costruita nella divisione sessuale dei ruoli che plasma l’ immaginario culturale delle donne e degli uomini, i loro desideri, la loro vita, le scelte d’identità e le relazioni sessuali. I femminicidi dimostrano che, al di là delle sfumature dei colori dal rosa al rosso dei codici, l’inasprimento delle pene non è un deterrente, quasi ogni 24 ore viene uccisa una donna. Per prevenire il fenomeno della violenza degli uomini sulle donne bisogna agire all’origine della cultura patriarcale partendo da un’educazione familiare e scolastica che superi la gerarchizzante divisione sessuale dei ruoli, che veicoli nuovi codici comportamentali e linguistici rispettosi del genere femminile. Insomma, con figure opportunamente formate, bisogna partire dalle relazioni primarie, dall’educazione e dai molteplici condizionamenti ambientali di cui gli individui, di un sesso e dell’altro, ancora stentano a prendere consapevolezza. Un primo passo verso lo sviluppo di una cultura nuova che faccia i conti con la libertà delle donne, ma è tutta da costruire, nel nostro Paese si stenta a riconoscere e accettare libertà e autodeterminazione femminile. (Guendalina Di Sabatino, presidente centro Arendt)