Negli Stati Uniti sono 845 i bambini morti dentro l’abitacolo dell’auto di famiglia.  Morti di ipetermia, arresto cardiaco, asfissia. Dimenticati da genitori presi da mille pensieri, mille preoccupazioni. Intrappolati, sotto il sole, dentro un abitacolo che può raggiungere, d’estate, una temperatura di oltre 50 gradi centigradi in poche decine di minuti. Una media di 37 l’anno; uno ogni 10 giorni, dal 1998 a oggi. Il triste conteggio, aggiornato al 7 ottobre di quest’anno, lo tiene il sito www.noheatstroke.org, un’associazione no-profit che da anni è attiva affinché queste morti assurde – che possono, e devono, essere evitate – non accadano più.

In Italia il fenomeno è meno diffuso, anche se altrettanto drammatico: dal 1998 si registrano nove casi di bimbi morti all’interno dell’abitacolo di un’auto, l’ultimo a Catania nel settembre scorso. Casi che hanno grandissima rilevanza mediatica, anche perchè ognuno di noi si immedesima nel genitore che, involontariamente, ha dimenticato il proprio figlio, e vivamo, anche solo per un attimo, il terrore di poter cadere anche noi nel fatale errore.

Per questo, qualche giorno fa, Il ministro per le Infrastrutture Paola De Micheli ha firmato il decreto attuativo dell’articolo 172 del Nuovo codice della strada per prevenire l’abbandono di bambini nei veicoli, imponendo l’uso di particolari dispositivi che dovrebbero evitare altre morti.

Provvedimento sacrosanto ma, se pensiamo che solo nel 2018, in Italia, l’Osservatorio ASAPS ha registrato il decesso di 49 bambini, da 0 a 13 anni, per incidenti stradali (nel 2017 erano stati 40), di cui 25 trasportati in auto, 1 sulle moto, 11 in bicicletta e 12 a piedi, e che nel 2019, a giugno 2019 si registrano già 9 piccole  vittime di incidenti stradali, ci accorgiamo che ci sono ancora altre emergenze da affrontare.

Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità gli incidenti stradali sono la nona causa di morte nel mondo fra gli adulti, la prima fra i giovani di età compresa tra i 15 e i 19 anni e la seconda per i ragazzi dai 10 ai 14 e dai 20 ai 24 anni. Si stima, inoltre, che senza adeguate contromisure, entro il 2020 rappresenteranno la terza causa globale di morte e disabilità.

In Olanda, negli anni ’70 del secolo scorso, fu proprio l’alta mortalità dei bambini causata da incidenti stradali a portare a serie azioni politiche e tecniche che cambiarono la mobilità dell’intera nazione. In Italia, nel 2019, si discute ancora di riforma del Codice della Strada mercanteggiando misure di moderazione del traffico con l’innalzamento dei limiti di velocità in autostrada, senza affrontare, in maniera strutturale ed integrata, il tema mobilità.

L’automobile, nel nostro Paese, è considerata sacra, e pedoni e ciclisti vengono sempre dopo le esigenze degli automobilisti; e poco importa delle centinaia di morti l’anno, della congestione delle nostre città, dell’inquinamento atmosferico, dello spazio pubblico sottratto ai cittadini, degli altissimi costi – sociali ed individuali – derivanti dall’uso massivo dell’auto privata.

Diverse associazioni, da tempo, chiedono che vengano chiuse al traffico veicolare almeno le strade intorno alle scuole, e perlomeno per il tempo necessario all’entrate e all’uscita degli alunni e degli studenti. Inoltre si moltiplicano le iniziative di bicibus e pedibus, che permettono di raggiungere la scuola a piedi o in bicicletta, aumentando l’autonomia individuale degli alunni, permettendo loro di “vivere” la città e muoversi in sicurezza.

In Abruzzo, e in provincia i Teramo in particolare, esperienze di bicibus e piedibus sono ancora rare, come è raro trovare amministrazioni che istituiscono isole pedonali, anche solo a tempo, intorno alle scuole, per permettere a studenti e alunni di raggiungere e lasciare l’edificio in sicurezza.

Eppure basterebbe poco, molto poco, e magari quel poco potrebbe salvare la vita ai nostri figli, ai nostri nipoti.

Pensiamoci.

P.S. Il 15 e 16 ottobre la Provincia di Teramo organizza due giornate di studio e lavoro sui temi della moblità ciclistica, in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente. Il primo giorno è dedicato alle amministrazioni comunali; il secondo è aperto a tutti. Può essere un’occasione per approfondire il tema e vedere soluzioni adottate da altri Comuni. Speriamo che i nostri amministratori partecipino in massa, e che vengano ispirati da quella che, ormai, deve essere il futuro delle nostre città: una mobilità a misura d’uomo.

 

di Raffaele Di Marcello