Rifletto da qualche tempo sulla sentenza che ha alleviato la pena detentiva di Michele Castaldo che, pur riconosciuto colpevole della morte della sua compagna, ha ricevuto dal giudice di Riccione una riduzione di pena, in quanto l’uomo sarebbe stato sopraffatto da una “tempesta emotiva” causata da un suo stato di profondo disagio da ricondurre alla volontà della donna di separarsi da lui.
L’uomo, infatti, è stato oggetto, nel volgere delle varie fasi della sua vicenda giudiziaria, di una riduzione di pena che in via definitiva è stata di sedici anni di detenzione.
Non è sulle conclusioni riferite agli anni di carcere che Castaldo dovrà scontare che voglio soffermare la vostra attenzione, ma è sulla argomentazione con cui il giudice ha motivato la riduzione della pena: “tempesta emotiva”.
Orbene, è noto che il giudice applica la legge in base alle norme che emana il Parlamento: certo, ci saranno elementi interpretativi sulle disposizioni vigenti, ma nella sostanza, cosa a me viene da pensare?
Che nel terzo millennio la persona è ancora giustificata se preda di un raptus: ancora oggi dobbiamo tristemente rilevare che il soggetto può essere privo della consapevolezza di sé e perdere questo controllo delle proprie emozioni e tutto ciò lo favorisce nel calcolo delle attenuanti.
Possiamo ritenerci convinti di abitare in un Paese civile , se continua ad essere sottovalutato che la persona, nel momento in cui convive o si unisce in matrimonio, deve avere consapevolezza che la sua partner (o il suo partner) è e resta un soggetto diverso da sé?
Riteniamo ancora tollerabile che una persona continui a percepire colui (o colei) che gli (o le) vive a fianco, come un soggetto che dovrà compensarlo, colmando così le sue inadeguatezze?
Siamo pronti a giustificare una reazione talmente aggressiva da procurare morte se colei ( o colui) che vorrà riacquistare la propria autonomia, sarà percepita ( o percepito) alla stregua di una parte del corpo che ci viene sottratta?
Voglio proporre questi inquietanti interrogativi per sensibilizzare alla constatazione che siamo ancora all’anno zero nel nostro Paese in quanto ad intelligenza emotiva.
Daniel Goleman ha da tempo teorizzato che, accanto al quoziente intellettivo, deve essere misurato il quoziente emotivo.
Ha da tempo suggerito che ogni persona è tenuta a conoscere le proprie emozioni, saperle gestire, poi controllarle fino a sapersi sintonizzare con le emozioni degli altri, per riuscire ad entrare in un rapporto empatico.
La mia sensazione è che su questo versante stiamo addirittura percorrendo precipitosi passi all’indietro.
Oggi siamo preda di paure che illusoriamente riteniamo di controllare attraverso misure fondate sull’autodifesa che non fanno altro che aumentare la soglia delle nostre ansie.
Tutto questo finisce per renderci analfabeti sul piano emozionale.
E’ tempo che le emozioni ( il loro studio, la consapevolezza di quale di esse risulti in noi preponderante) facciano ingresso nella scuola ed in tutti i luoghi di aggregazione, perché le persone individuino l’altro non come un soggetto da cui difendersi, ma come un proprio simile da osservare ed approfondire e, attraverso questa esplorazione dell’altro, conoscere di più e meglio sé stessi.
Se non ora, quando?
Ernesto Albanello