Si tratta della procedura di Valutazione di Incidenza Ambientale, che si occupa di valutare l’eventuale impatto su fauna, flora ed habitat del Parco del Gran Sasso, che è classificato quale Sito di Interesse Comunitario (SIC) e Zona di Protezione Speciale (ZPS).
La Mobilitazione per l’Acqua del Gran Sasso, con una lettera della SOA che ne fa parte, ha inviato alcune osservazioni contrarie all’intervento evidenziando le seguenti criticità:
1)l’acceleratore è una macchia radiogena essendo sottoposto alle norme sulla radioprotezione. Pertanto il suo posizionamento è in contrasto con le distanze fissate dal D.lgs.152/2006, art.94, dagli acquiferi che forniscono acqua potabile. Già nel 2013 l’Istituto Superiore di Sanità, interpellato sul progetto, sottolineò questa problematica in maniera inequivocabile;
2)per stessa ammissione della Regione che con la Delibera 33/2019 che ha chiesto interventi per ben 170 milioni di euro e sulla base degli atti della Procura, il sistema del Gran Sasso non è in sicurezza, anche per plurime omissioni da parte degli enti (mancanza, dal 2006, del Piano di Emergenza Esterno e della perimetrazione delle Aree di Salvaguardia per l’acquifero);
3)come ammesso dagli stessi proponenti, esistono diversi tipi di rischio connessi al progetto (rilascio di inquinanti, incendio, radiazioni). Secondo l’INFN sarebbero o “trascurabili” o “accettabili”, grazie anche a misure di prevenzione/mitigazione. A nostro avviso parlare di capacità di gestione dei rischi in un sistema che non è in sicurezza da anni e che ha visto diversi incidenti gestiti come minimo con improvvisazione (si veda il caso tragicomico del rilascio di diclorometano oppure l’incendio del 2016 che è stato comunicato da noi alle autorità!) è quanto meno inopportuno;
4)un eventuale incidente, come dimostrato dallo studio del 2003 con i traccianti, investirebbe non solo l’acqua potabile ma l’intero acquifero con conseguenze anche sulle sorgenti del versante teramano, con ovvie ripercussioni su fauna e flora;
5)in caso di incidente le acque potabili verrebbero rilasciate nelle acque superficiali, a scarico, con ovvie conseguenze sui fiumi;
6)nel 2013 in un laboratori giapponese all’avanguardia, il J-Parc, si verificò un incidente proprio con un acceleratore, con la dispersione di sostanze radioattive e l’irraggiamento, fortunatamente leggero, di una trentina di ricercatori. Anche lì sulla carta le misure di prevenzione e mitigazione avrebbero dovuto funzionare ma così fu (anzi, gli operatori con la loro reazione peggiorarono le cose!), con tanto di scuse e inchini imbarazzati da parte dei ricercatori. Almeno in questo sono stati differenti rispetto a quanto vediamo qui. L’impianto rimase chiuso per 2 anni. Cosa accadrebbe per captazioni idropotabili, ambiente e traffico autostradale in caso di incidente grave?
7)esiste il rischio terremoto, con la possibile dislocazione anche di 2 metri delle faglie che attraversano il massiccio. Un limite strutturale importante che non viene affrontato nonostante precise linee guida della Protezione Civile in materia di faglie attive e capaci.
Alla luce di tutte queste problematiche riteniamo che la Regione Abruzzo debba esprimersi negativamente.