TERAMO – Il biodigestore della discordia? Il biodigestore non s’ha da fare? Non è così. L’associazione “Ambiente e Sicurezza Città di Teramo” torna nel merito della vicenda del progetto di realizzazione dell’impianto a Contrada Carapollo illustrando le proprie ragioni, suggerendo siti alternativi. “Tra tutte le aree rimaste dismesse nel nostro territorio, ci sono tanti luoghi più idonei di Carapollo. Realizzare il biodigestore lì vuol dire collocare un’opera che ha un forte impatto ambientale in un contesto protetto. Il Comune avrebbe ben dovuto individuare un’area idonea. Non non siamo contro il progetto di realizzazione dell’impianto ma solo contro il sito scelto dal Comune. Dovessero andare bene i ricorsi al Tar che abbiamo proposto cosa accadrebbe? Perderemmo 28 milioni di fondi del Pnrr? “.  La presidente dell’associazione l’avvocato Antonella D’Angelo Gallo non demorde nella sua battaglia e nella conferenza stampa di questa mattina ha messo alcuni punti fermi.

ASCOLTA L’AVVOCATO ANTONELLA D’ANGELO GALLO

QUESTE LE MOTIVAZIONI ALLA BASE DEI RICORSI AL TAR ABRUZZO E TAR LAZIO:
L’Associazione “Ambiente e Sicurezza – Città di Teramo ETS”, rappresentata dal presidente protempore Avv. Antonella D’Angelo Gallo, in riferimento al progetto per la realizzazione del biodigestore dei rifiuti urbani della capacità di 40.000 tonnellate annue proposto dalla Teramo Ambiente Spa in Contrada Carapollo, ha intrapreso azioni legali e istituzionali per tutelare il territorio teramano da interventi che ritiene potenzialmente dannosi per l’ambiente e la sicurezza della comunità, precisando di non essere sfavorevole in linea generale alla realizzazione dell’opera, ma ritenendo del tutto inidonea la localizzazione dell’impianto nel sito prescelto. I ricorsi presentati al TAR Abruzzo e al TAR Lazio, si basano su una serie di criticità ambientali, paesaggistiche e di sicurezza non adeguatamente valutate dalla Regione Abruzzo in sede di Verifica di Assoggettabilità alla Valutazione di Impatto Ambientale, e sono:

– presso il TAR Abruzzo è pendente il ricorso contro la delibera della Giunta municipale n. 350 del 10/09/2024, con la quale è stata modificata la perimetrazione del centro abitato di Villa Pavone, restringendolo artificiosamente, allo scopo di far apparire conforme la distanza dell’impianto ai 500 metri (invece dei circa 250 reali) imposta dai criteri localizzativi escludenti dettati dal Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti, i quali rappresentano parametri invalicabili posti dal legislatore a tutela dei cittadini da potenziali pericoli e molestie, e che invece adesso, disinvoltamente aggirati con la suddetta delibera, costringeranno centinaia di ignari residenti di quel quartiere a convivere, senza il rispetto degli standard minimi di sicurezza, con un impianto che produce gas altamente infiammabili ed esplosivi in una zona soggetta a frequenti incendi; La delibera, apparentemente motivata dalla necessità di ridefinire meglio il centro abitato a fronte di un aumento della popolazione e dell’edificato, si traduce paradossalmente in una riduzione del perimetro. Questa scelta contraddice le premesse dichiarate, destando giustificate preoccupazioni, in quanto il requisito della distanza dei 500 metri rappresenta un vincolo di sicurezza per la popolazione residente, data la particolare tipologia di impianto.

– presso il TAR Lazio è pendente il ricorso relativo alla mancata assoggettabilità a VIA del progetto da parte del Comitato VIA della Regione Abruzzo, contestata in quanto la procedura di verifica adottata è omissiva, superficiale e carente, rispetto all’obbligo di una Valutazione di Impatto Ambientale completa, considerati i rischi e gli impatti rilevanti derivanti dallo stato di contaminazione dei luoghi oggetto di intervento, in quanto la mancata conclusione del Piano di Caratterizzazione ambientale del sito, volto a determinare l’eventuale inquinamento del suolo derivante dalle passate attività dell’ex inceneritore, lascia aperte importanti questioni sulla qualità dell’area, e di fatto priva la pubblica opinione di un fondamentale strumento di verifica della procedura in atto, e soprattutto della necessità di un’analisi più approfondita dell’intervento e dei suoi effetti. La localizzazione dell’impianto rappresenta una evidente forzatura, a causa della presenza di numerose criticità di carattere ambientale e normativo che l’Associazione ha dettagliatamente evidenziato agli organi competenti, e che si possono brevemente riassumere come segue:

– Vincoli geomorfologici e idrogeologici – Fasce di rispetto dal Fiume Tordino, e da calanchi a rischio frane: l’area è soggetta a vincolo paesaggistico ai sensi dell’art. 142 del D.Lgs. 42/2004, poiché ricade all’interno dell’Ambito del Fiume Tordino, e, in parte, in zona A1 (Conservazione Integrale) del Piano Regionale Paesistico; si rimarca che la vicinanza critica al fiume Tordino (meno di 50 metri invece dei 150 metri previsti dalle normative), comporta il rischio di allagamenti dell’area di impianto e di alterazione della vegetazione ripariale, con conseguente impatto irreversibile sull’assetto paesaggistico dell’area. Va inoltre sottolineato che l’impianto è localizzato in aderenza ad un calanco classificato come P3 (Alto rischio) ai sensi dell’Allegato F del Piano di Assetto Idrogeologico (PAI), che impone fasce di rispetto che vietano interventi suscettibili di alterare la morfologia del terreno, mentre in questo caso le opere di sbancamento necessarie per livellare l’area comportano un rilevante impatto sulla stabilità del suolo, con possibili di fenomeni di dissesto idrogeologico; a tale riguardo non risulta essere acquisito agli atti lo Studio di compatibilità idrogeologica approvato dall’Autorità di Bacino, il che rende il progetto non conforme ai requisiti del PAI. Si fa presente che la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di L’Aquila e Teramo su tali aspetti ha espresso osservazioni critiche molto rilevanti, mettendo in discussione la localizzazione dell’impianto e richiedendo la valutazione di siti alternativi, proposta che purtroppo non è stata recepita né nella fase di Verifica di Assoggettabilità a VIA, né nell’attuale procedimento AIA.

– Incompatibilità urbanistica: l’area individuata per l’impianto ricade in larga parte in zona E1 – Zona Agricola di Maggiore Qualità Produttiva, come classificata dal Piano Regolatore Generale
(PRG) del Comune di Teramo; tale destinazione urbanistica non consente la realizzazione di impianti industriali, quale è a tutti gli effetti un impianto di digestione anaerobica per il trattamento dei rifiuti, senza una variante urbanistica specifica, la quale non risulta essere stata approvata; inoltre il PRG vigente non contempla deroghe per la realizzazione di impianti di trattamento rifiuti in zona agricola, rendendo illegittimo il rilascio dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA); inoltre, al momento non è chiaro il regime di proprietà dei terreni su cui si intende realizzare l’impianto, poiché alcune particelle risultano soggette a procedura di esproprio, e quindi, senza una chiara dimostrazione della proprietà o della titolarità d’uso delle aree, il rilascio dell’Autorizzazione Integrata Ambientale sarebbe illegittima.

– Distanza dei manufatti dai confini – Non conformità urbanistica: dall’analisi della planimetria dell’impianto emerge che diversi manufatti risultano posizionati a distanze illegittime dai confini di proprietà, in palese violazione delle normative urbanistiche generali; tale situazione non è casuale, ma è il risultato della estrema compressione degli spazi dell’impianto, derivante dalla necessità di rispettare il limite dei 500 metri dall’abitato di Villa Pavone; tale compressione ha reso il layout inadatto e non conforme ai requisiti normativi minimi, con conseguenti problematiche sia urbanistiche che operative, e soprattutto di sicurezza intrinseca per gravi carenze nella viabilità interna, dal momento che i percorsi interni risultano insufficienti per la movimentazione dei mezzi pesanti adibiti al trasporto e alla manutenzione, le corsie di manovra per i mezzi di conferimento rifiuti sono inadeguate, con la conseguenza che i mezzi di emergenza e i Vigili del Fuoco non avrebbero spazio sufficiente per operare in caso di incendio o altro evento critico. Inoltre alcune aree tecniche risultano totalmente inaccessibili persino ai pedoni, con ingressi ai locali che distano pochi centimetri dalla recinzione, rendendo impossibile qualsiasi intervento di manutenzione ordinaria e straordinaria.

– Presenza di infrastrutture strategiche: l’area destinata alla realizzazione dell’impianto è attraversata da un elettrodotto e un metanodotto, entrambi soggetti a fasce di rispetto e a rischi di sicurezza, che prevedono che qualsiasi attività nelle immediate vicinanze deve essere preventivamente autorizzata, e in taluni casi potrebbe essere vietata per ragioni di sicurezza, dal momento che un impianto con lavorazioni di materiale organico e processi di produzione di biogas non può essere localizzato in prossimità di linee elettriche ad alta tensione e di gasdotti in pressione senza adeguata valutazione del rischio specifico.

– Incremento del traffico veicolare: per quanto concerne l’aggravio dell’impatto veicolare sulla già del tutto inadeguata viabilità locale, costituita principalmente dal “guado” sul Fiume Tordino (in quanto il Ponte a Catena è fatiscente e non percorribile dai mezzi oltre i 4 ton), è stato stimato che, nella migliore delle ipotesi, i mezzi che percorrerebbero la stessa per conferire i rifiuti all’impianto in progetto andranno a generare un numero complessivo di 6.877 ulteriori passaggi annui, che rappresentano un incremento veicolare del tutto abnorme per il quartiere di Villa Pavone e per la viabilità esistente.

Alla luce di quanto sopra, evitare l’ennesimo deturpatore ambientale in una zona così delicata, che metterebbe a rischio il territorio e gli abitanti residenti a causa di un impianto fortemente impattante e potenzialmente pericoloso, oltretutto posizionato senza il rispetto delle distanze minime di sicurezza, è un atto dovuto, anche in considerazione del fatto che nel territorio provinciale esistono altri impianti similari facilmente sfruttabili, che rendono l’impianto di Carapollo un doppione inutile e costoso per la collettività, con forti dubbi sulla sua sostenibilità economica per i volumi di rifiuti necessari da reperire sul territorio. L’Associazione, come da statuto, si impegna a proteggere l’ambiente e la sicurezza della comunità, ed invita tutti i cittadini interessati a partecipare a questa azione di controllo, e ad iscriversi gratuitamente all’Associazione attraverso il sito web, contribuendo così a rafforzare una battaglia giusta per i diritti e la sicurezza di tutti i teramani. – Avv. Antonella D’Angelo Gallo, presidente Associazione Ambiente e Sicurezza Città di Teramo –