PESCARA – “La violenta rivolta scoppiata nel carcere di Pescara a seguito del suicidio del giovanissimo detenuto egiziano è un segnale inequivocabile della ripresa della stagione delle rivolte che, dall’emergenza Covid, si ripete ogni anno, sia pure con modalità differenti che per questo vanno interpretate per cogliere le novità. A pagarne le conseguenze, come sempre, è il personale penitenziario che, come è avvenuto per la decina di agenti di Pescara intossicati, rischiano la vita nell’assolvimento al dovere e per mettere fine alla violenza”. Lo afferma il segretario generale
del S.PP. Aldo Di Giacomo sottolineando che “ci sono da tempo chiari segnali qui come in tante carceri italiane di una situazione di crescente tensione. È sufficiente una ‘miccia’ per far esplodere le carceri. E certamente lo stillicidio di suicidi, con i numeri che conosciamo tutti dall’inizio del nuovo anno e dopo l’anno orribile appena trascorso, quello del record di morti in cella, non può ulteriormente essere sottovalutato”.

“Le cause dei diffusi focolai di tensione sono sempre gli stessi – prosegue  il sindacalista – dal sovraffollamento, alla carenza di organici (nonostante le sbandierate nuove assunzioni), all’assenza di figure professionali mediche (specie psicologi) e mediatori culturali. Non c’è bisogno della ‘palla di cristallo’ per prevedere che la situazione, già di grande emergenza e del tutto inedita per gravità rispetto a sempre, è destinata a diventare ancora più pesante, al punto che la rivolta di Pescara sommata alle aggressioni quotidiane in tanti istituiti fa da ‘apripista’ ad una nuova pesante stagione per i nostri penitenziari”.

“Noi più semplicemente continuiamo a cogliere ed interpretare, già da settimane, gli inquietanti segnali che l’Amministrazione Penitenziaria invece preferisce ignorare, tra i quali, tentativi di evasione e la diffusione di telefonini sempre più tecnologicamente avanzati. Non siamo pronti a fronteggiare nuove rivolte e soprattutto siamo stanchi di pagare il prezzo più alto con il rischio di incolumità personale per responsabilità politiche e di Governo. Tutto questo mentre la condanna di dieci agenti a processo a Reggio Emilia per fatti che risalgono al 2023, pur essendo caduto il reato di tortura riqualificato in un’ipotesi meno grave – abuso di autorità contro detenuto in concorso – ha l’effetto di scoraggiare il personale chiamato a fermare rivolte e violenze ma sempre sotto la ‘spada di Damocle’ del reato di tortura e di provvedimenti disciplinari. È ora di fare chiarezza: lo Stato dica da che parte sta, se da quella dei detenuti o dei suoi ‘servitori'”, conclude Di Giacomo.