TERAMO – Sulla questione del recupero del Teatro Romano anche l’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della provincia di Teramo, entra nel dibattito.
“Sul recupero del Teatro Romano – dichiara il Presidente dell’Ordine, Arch. Raffaele Di Marcello – abbiamo letto di tutto e di più, e apprendiamo, dalla stampa, della volontà dell’Amministrazione Comunale, di sottoporre il progetto, adeguato alle osservazioni della Soprintendenza, all’esame dei cittadini, attraverso una non ben definita consultazione popolare”. “Fermo restando che la partecipazione dei cittadini alle scelte di trasformazione della città e di gestione del territorio è elemento fondamentale della buona riuscita di ogni esperienza progettuale – continua l’Arch. Di Marcello – la questione “Teatro Romano” è l’esempio lampante di come una errata intrerpretazione delle logiche, e delle modalità, partecipative possa portare a ritardi, incomprensioni, intromissioni e, in casi estremi, a scelte sbagliate”.
“Da sempre, come Ordine, a livello locale, e tramite in nostro Consiglio Nazionale – precisa il Presidente dell’Ordine – affermiamo l’importanza della condivisione con i diversi portatori di interesse delle idee, e delle strategie, che portano alla trasformazione delle nostre città e dei nostri territori, tanto da proporre – e in questa occasione da riproporre – la costituzione, a Teramo, di un Urban Center, luogo fisico deputato al dibattito sul presente e il futuro della città; ma in un processo come quello del recupero del Teatro Romano, e non solo, crediamo vada rispettato il percorso concorsuale, vadano rispettati i professionisti coinvolti, vada rispettata la progressione temporale che
giustifica il coinvolgimento dei cittadini in precise fasi del percorso. Vedere, dopo anni, apparire proposte progettuali alternative, tra l’altro redatte, motu proprio, da professionisti che, per legge, non hanno competenza ad agire nell’ambito dei beni culturali, o sentire che il progetto, dopo essere stato più volte osservato dall’amministrazione
comunale, e sottoposto all’esame, e alle stringenti prescrizioni, della Soprintendenza, verrà sottoposto ad una non ben precisata procedura di esame ed osservazione da parte dei “cittadini” – continua l’Arch. Di Marcello – ci dà il senso di come, sul governo del territorio e sulle trasformazioni urbane, ci sia una confusione pericolosa a tutti i livelli. Quando si parla di trasformazioni urbane, relative ad edifici e/o spazi esterni, la fase partecipativa deve essere attivata prima della concretizzazione del progetto, onde raccogliere tutte le istanze del territorio e permettere all’amministrazione committente di rappresentare ai progettisti (da scegliere, preferibilmente, con un concorso di progettazione in due fasi, che renda possibile ragionare su progetti, e non solo su offerte economiche), le esigenze dell’intera collettività. Scelto il progetto, anche attraverso ulteriori fasi partecipative, che coinvolgano, però, a secondo delle esigenze, un numero di portatori di interesse più o meno ampio, fino a soli interlocutori qualificati quando necessario, non si può tornare, continuamente, sui propri passi, relegando il ruolo dei progettisti a semplici esecutori di quella che, di volta in volta, può essere l’idea di turno del politico, dell’amministratore, dell’associazione, ecc. Come Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservazioni chiediamo quindi che l’Amministrazione Comunale chiarisca, una volta per tutte, quale percorso voglia portare avanti e che si rispettino le professionalità coinvolte, tra l’altro a seguito di un regolare concorso di progettazione, senza “nascondersi” dietro una malinteso necessità di condivisione. Restiamo a disposizione, come da sempre fatto – partecipando a tutti i talvoli di lavoro sulla ricostruzione, sull’edizia scolastica, ecc. e sollecitando Enti ed Organismi istituzionali sulla necessità di una fase partecipativa prima di ogni intervento sul territorio, come nel caso del recupero dell’ex Manicomio – per il nostro eventuale contributo, ma ribadiamo, con forza, che pur nella condivisione occorre rispettare i ruoli e le competenze. Chiediamo, inoltre, all’Amministrazione Comunale di istituire, in tempi brevi, un Urban Center, che sia centro di condivisione di saperi e idee, luogo di lavoro multidisciplinare tra i vari attori del territorio e i semplici di cittadini, ma anche sistema di produzione di conoscenza, conoscenza indispensabile per esercitare, consapevolmente, il diritto del singolo alla partecipazione. Perchè partecipare, senza conoscere,
significa affidarsi all’emozione del momento o farsi guidare da chi alza di più la voce – e in Italia, il caso del Palazzo dei Diamanti di Ferrara, dove l’intervento a “gamba tesa” di Sgarbi ha bloccato un progetto condiviso e necessario, ne è l’esempio”.