TERAMO – L’accesso compiuto nel carcere di Castrogno dai rappresentanti della Camera Penale e del Consiglio dell’Ordine di Teramo ha consentito di cogliere innanzitutto che, per quanto il tema sia discusso dai media e sia all’ordine del giorno del dibattito politico, il carcere, (anche teramana, naturalmente) rappresenta, una realtà pressoché ignota.
Basti pensare che il carcere di Castrogno ha una presenza di circa 400 unità di detenuti a fronte di una capacità massima di 250.
Già questo dato impone una dolorosa riflessione sulla ingiustificata sofferenza dei reclusi, sull’ulteriore penalizzazione nei confronti di chi, riconosciuto colpevole di una condotta penalmente rilevante, o in stato di mera custodia cautelare, dovrebbe compiere un cammino di risocializzazione, costituzionalmente garantito.
“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” (Costituzione, art, 27, comma 3) “.
Un fine irrealizzabile.
Gli agenti carcerari ammontano appena a 174 unità, ben al di sotto dell’organico: 221.
Per valutarne l’insufficienza basta considerare che nel corso del 2024 hanno, sino ad oggi, nel complesso accumulato 54.000 ore di straordinario, per non parlare delle ferie non godute
Costruito nel lontano 1986, il carcere di Castrogno, nel tempo di vita, non ha subito – com’è prassi del nostro paese – significativi interventi di manutenzione ed ammodernamento.
A titolo meramente esemplificativo va stigmatizzato che le celle in cui albergano due detenuti (ininterrottamente dalle ore 19,00 alle 7,00 del giorno seguente), hanno un’ampiezza di 16 mq su cui insistono due letti a castello, due stipetti ed un televisore con annesso bagno di circa 5 mq limitato al lavandino ed al water.
Non esistono all’interno della cella né sedie né sgabelli
Le docce sono comuni e non dispongono in alcuna stagione di acqua calda, d’estate poi l’entità dell’acqua (che subisce costantemente perdite) è ridotta.
Gli infissi rappresentano sia d’estate che d’inverno, un insuperabile disagio (finestre che si aprono al primo soffio di vento).
Per tacere sulla raccolta dei rifiuti e sulle modalità di pulizia degli ambienti.
Le difficoltà logistiche si accompagnano ad un’altra grave criticità: le carenze strutturali e di organico, carenze che riguardano, innanzitutto, gli agenti penitenziari, ma anche medici, psichiatri ed operatori seriali.

Una carenza insostenibile con un riverbero nel quotidiano di vita carceraria: la gestione dei rapporti con i detenuti è necessariamente lenta (le richieste possono essere esaminate solo adistanza di tempo).
Non ricorrono percorsi lavorativi, educativi, di risocializzazione; basti pensare che l’unica biblioteca di cui il carcere dispone è malinconicamente chiusa proprio per l’insuperabilecarenza degli agenti penitenziari.
A questo ritmo di crescita della popolazione detenuta nel carcere teramano, senza una visione di insieme ed un concreto intervento “aziendale” (un massiccio intervento di edilizia carceraria, un aumento rilevante di personale), la strada del fallimento umano e sociale è alle porte.
Alla collettività non resterà che raccogliere i resti di una macchina inefficiente.
A questo ritmo di crescita della popolazione detenuta nel carcere teramano, senza una visione d’insieme ed un concreto intervento “aziendale” (un massiccio intervento di edilizia carceraria, un aumento di personale), la strada del fallimento umano e sociale è alle porte.
Non è questione di certezza della pena, occorre guardare, con occhio libero, al quotidiano di vita che si svolge tra quelle vecchie mura, cogliere l’impatto umano e sociale, nonché il suo vero “sistema”: la retribuzione del male con il male, che toglie a chi subisce questo tipo di detenzione diritti fondamentali connaturati alla persona.
Realtà che fino in fondo non è nota agli operatori giudiziari, siano essi giudici o avvocati.
Bisogna invertire la rotta verso un cammino lungimirante e razionale: quello della seria depenalizzazione, quello della seria decarcerizzazione.
Affrontare i problemi del detenuto non è uno spreco di risorse, non è un inutile assistenzialismo.
Al contrario, dobbiamo imparare una volta per tutte che investire sul perché della pena detentiva, in un’ottica costituzionalmente orientata, sulla cura preventiva di chi delinque, sul bisogno di un lavoro negato, sul bisogno di risocializzazione auspicato e voluto, sul benessere del detenuto, richiama innanzitutto a un dovere perequativo di uno ato civile e democratico.
Perché è così difficile incentivare il passaggio, nel modo più ampio possibile, dalla cella chiusa alla misura alternativa ?
È dimostrato che la recidiva dei detenuti è tre volte e mezza superiore a quella di chi sconta la pena fuori dal carcere.
Non è un caso che il fenomeno dei suicidi, a livello nazionale, avvenuti in carcere dall’1 gennaio 2024 ammonti a 64 ed è in continua ascesa tanto da rendere ormai improcrastinabile un immediato intervento al fine di arginare la strage in atto.
Ogni giorno trascorso senza che siano attuati rimedi idonei a scongiurare la morte per malattia e per suicidi negli istituti penitenziari (Castrogno ne conta 2 in questo anno) non può che accrescere le responsabilità politiche e morali di quanti tale fenomeno hanno l’obbligo di affrontare con rimedi urgenti ed inderogabili.
Occorre quanto meno intervenire con urgenza al fine di interrompere questa scia di morte la cui responsabilità ricade inesorabilmente su uno stato incapace di assicurare il diritto fondamentale al rispetto della dignità umana delle persone private della libertà personale, rispetto che non a caso era stato da tempo già invocato (naturalmente) dal Pontefice e dal presidente della
Repubblica.
Le condizioni invivibili di Castrogno come di altre carceri, il sovraffollamento ed il degrado in cui vivono i detenuti, offende anche l’impegno di chi opera all’interno di quelle realtà con competenza, dedizione e passione ed offende la civiltà della nazione intera che non merita ulteriori condanne degli organismi internazionali e dell’Europa.
Infine nell’ultimo Consiglio dei Ministri del 7 agosto non si sia avuta nessuna apertura né per la liberazione anticipata speciale né per possibili misure da adottare per abbattere il sovraffollamento.
Va però dato atto al Guardasigilli che dando prova del suo impegno ha inviato 45 agenti penitenziari nel carcere per emigranti di Gjader, in Albania (tutti con decalogo rigoroso).