TERAMO – «Ma davvero vuoi conoscere la mia storia? Se mi garantisci di ascoltarla senza giudizio io te la racconto.
Sai? È difficile aprirsi e consentire ad un estraneo di entrare nelle pieghe più private e a volte inconfessate della propria umana fragilità. Me ne sono capitate tante nella vita, sai Enzo? Talmente tante che fatico a dare la giusta sequenza agli eventi. Forse parlare con te mi aiuterà. Dopotutto se sei capitato adesso significa che questo è il momento giusto».
Forse però, conviene che tu stia seduto. Il racconto potrebbe risultare meno lieto di quello che puoi immaginare.
Iniziamo da un incubo.
È notte, le luci della città sono sfocate a causa del vapore che ha appannato i finestrini della mia Golf nuova di pacca. C’è una donna nuda tra le mie braccia. È bella, ha un buon profumo. All’improvviso ho un giramento di testa, nausea. Lei sorride, ma poi sangue dappertutto. C’è sangue sul suo viso, sui capelli, sul suo seno. Cerco di pulirla, di tranquillizzarla. Ma da dove arriva? Con questo buio, il sangue è nero, è appiccicoso, è caldo. Urlo, ma dalla mia bocca non esce nessun suono.
Poi il suo viso torna pulito, ma i suoi occhi sono terrorizzati. Non riesce a parlare, le chiedo cosa sta accadendo, ma lei non risponde. Sento degli spari. Delle persone compaiono nel buio. I vetri esplodono. Chi è che spara? Mi giro e vedo la mia mano. Non sembra lei! È enorme! Anche la pistola è strana, quasi non sembra la mia Beretta. È gigantesca. Mi volto perché adesso la mia fidanzata sta urlando, guarda verso l’altra direzione e dietro il finestrino intravedo la sagoma di un uomo. Sembra un diavolo, ha gli occhi spiritati, poi vedo la mia pistola che punta verso di lui. Spara. Esplode tutto, i suoi occhi escono dalle orbite e lui sparisce in un vortice di luci stroboscopiche. Valentina urla. Adesso la sento perfettamente la sua voce, ma la pistola continua a sparare. Io la guardo, non sembra la mia mano ad impugnarla. Non sono io. Chi è che spara? Perché la mia Beretta sta sparando da sola. Un altro uomo alle mie spalle impreca, ha la voce gracchiante, altri vetri si frantumano in mille schegge impazzite. Valentina si copre il viso con le mani senza smettere di urlare. Io continuo a sparare. Si, adesso sono io che sparo. Continuo e continuo. La mia Beretta 92 calibro 9, è una Beretta 92 è una semiautomatica, ma non ha tutti questi colpi, ma io continuo a sparare all’infinito.
Sono in un bagno di sudore. Ho pezzi di vetro dappertutto, tra i capelli, sulle mani, persino in bocca. Valentina è di nuovo coperta di sangue. Io sparo un altro colpo, prendo la mira, il proiettile stavolta sfiora la testa dell’uomo che mi fissava dal cruscotto e gli stacca un orecchio.
Lo vedo staccarsi via, quasi al rallentatore. Sembra una farfalla che vola seguita da una scia vermiglia che luccica quasi illuminata dalle luci della città sullo sfondo.
Poi mi sveglio. È stato solo un brutto incubo.
Ho il cuore in gola, lo sento battere talmente forte che sembra far rumore. Respiro a fatica. Mi manca l’aria.
Ogni notte lo stesso incubo. Ogni mattina lo stesso risveglio.
Piano piano recupero la calma, respiro lentamente.
Fuori, nel corridoio, si sentono delle voci.
Non è ancora giorno ma nella mia cella hanno già acceso le luci – Enzo Delle Monache –