Ci tocca di nuovo. Il 10 febbraio dovremo scegliere il nuovo governo della nostra regione, orfano del senator fuggente D’Alfonso.
Dopo la Caporetto del povero Gianni Chiodi, che si trovò a gestire il terremoto dell’Aquila e quello della tangentopoli sanitaria, la vittoria del PD, che cavalcava la “rivergination” del politologo pescarese, fu una conseguenza logica.
Lo slogan era “l’Abruzzo facile e veloce”, fare incetta di fondi europei, banda larga e snellimenti burocratici.
A distanza di qualche anno però la realtà è ben diversa. Del Masterplan tanto sbandierato si sono perse le tracce. La Sanità è uscita dal commissariamento quasi completamente smantellata da un assessore, Paolucci, che ha chiuso la maggior parte degli ospedali e dei presidi e allungato le liste d’attesa a tempi biblici. Anche il settore agricolo deve ringraziare l’assessore uscente per i fondi mai distribuiti e così via, per finire con il governatore stesso che davanti a due poltrone ha preferito lo scranno nazionale lasciando al vento le promesse pre-elettorali.
La crisi del PD tracima i confini regionali, lo sappiamo. Da quel 4 marzo fatale in cui il progetto renziano è miseramente fallito, il gregge “sinistro” non si è più ripreso. E come tutti i greggi senza guida vaga allo stato brado senza sapere dove andare. Il Renzi abruzzese invece ha costretto i “sinistri” a riciclarsi dentro liste civiche senza logo e senza identità per ributtarsi nella mischia elettorale con una “copertina” nuova. Così vediamo queste mega –coalizioni in cui ricompaiono tutti o quasi gli ex consiglieri e (ahinoi!) assessori .
Nel frattempo l’Abruzzo si è fermato. Pur di non affidare l’Ufficio per la Ricostruzione a qualcuno davvero competente si è preferito paralizzare centinaia di sfollati in un limbo senza fine. L’economia, senza fondi, rallenta ancora di più, e gli impianti di risalita ai Prati di Tivo dovranno aspettare, forse, il prossimo inverno per essere riaperti. Perché mentre nelle altre regioni la politica segue l’economia, qui in Abruzzo e a Teramo in particolare, gli operatori turistici, dalla montagna al mare, devono seguire i tempi comodi della politica. Tutta.
Perchè non sono solo i sinistri, colpevoli di “tanto oltraggio”. In tempi diversi e con le stesse modalità anche i “destri “ hanno fatto man bassa di questa città e di questo territorio. Abbiamo perso banche e centinaia di imprese. Il 50% dei fallimenti in Abruzzo è localizzato a Teramo (Cresa). Lavori interminabili hanno desertificato il commercio del centro storico e non si riesce neanche a capire cosa significa quello che è stato costruito. Da Exempla all’Ipogeo, la cultura non è proprio di casa a Teramo. Fondi europei mal gestiti o mal distribuiti e la lista è ancora lunga. Così anche tra le liste di destra non ci sono personalità brillanti né sollevatori di entusiasmi tra cui scegliere.
Anche se in alcune liste “civetta” più che civiche, qualche nome autorevole sono riusciti a cooptare, c’è poco da ragionare sulle prossime elezioni: se non cambiano mai le premesse, come potranno mai cambiare i risultati?
di Mira Carpineta