TERAMO – Mauro Meluso, un grande dirigente sportivo dopo essere stato un buon calciatore, dai primi passi nelle giovanili della Lazio del 1979 all’ultima esperienza nel Monterotondo del 1996.

Nato a Cosenza il primo gennaio 1965, da qualche tempo ha toccato, con merito e senza aiuti, il cielo con un dito… Dal 12 luglio, come noto, ricopre l’incarico di DS nel Napoli Campione, quello del terzo scudetto, e questa è cosa davvero riservata a pochi eletti. Lui se lo è meritato davvero, per l’uomo, assolutamente identico a quello che conoscemmo nel 1997, 26 anni or sono, e per il professionista che è…

A proposito, che ricordi avrà di quella estate del 1997?

  • Fu l’estate che, di fatto, cambiò la mia vita. Da papà di 2 piccoli bimbi dovevo individuare il da farsi. Gianni Gebbia mi presentò all’allora presidente del Teramo Calcio, Nanni Cerulli, che però era prossimo a cedere la società. Sperai in cuor mio che non lo facesse perché una entrante, in genere, cambia tutto. Romy che gli subentrò, invece, mi tenne. Io non ero ancora un DS ma fu proprio quello l’inizio di una storia infinita. Non a caso sarò sempre legatissimo al Teramo Calcio che mi ha fatto iniziare.

Napoli a parte: tra Foggia, Padova, Pisa, Sangiovannese, Ternana, Frosinone, Cosenza, Lecce e Spezia dove sei riuscito ad ottenere i risultati che sognavi e dove hai fatto meno bene

  • Credo e spero di aver lasciato ovunque un buon ricordo sotto il profilo umano, un aspetto al quale tengo particolarmente. A Padova in Lega Pro non portai a termine l’esperienza e fui costretto a lasciare, ma quella squadra andò in serie B. A Pisa non vincemmo il campionato per un niente mentre a San Giovanni Valdarno disputammo una semifinale per la serie cadetta, risultato mai più conseguito da quella società. Forse a Frosinone non sono riuscito a dare tutto me stesso; evidentemente non ero particolarmente motivato. A Cosenza, invece, la mia città, ritornai dopo 35 anni e vincemmo una Coppa Italia, centrando due salvezze con pochissime disponibilità. Credo però che i miei piccoli capolavori li abbia compiuti a Lecce ed a La Spezia. In Liguria ci salvammo nella massima serie avendo rivoluzionato la rosa con una ventina di ingaggi: era il primo anno della storia nella massima serie, durante il Covid. Quella salvezza permise al popolo spezzino, l’anno seguente, di poter seguire una seconda volta la A.

Se faccio 2 nomi, cosa mi rispondi: Maurizio Stirpe e Saverio Sticchi Damiani (presidenti rispettivamente del Frosinone e del Lecce – ndr)?

  • Molto diversi l’un l’altro ma entrambi personaggi straordinari. Il primo è un’autentica potenza con un gruppo industriale alle spalle molto importante, ma nei suoi riguardi mi sento in debito di qualcosa. Con Sticchi Damiani, invece, sono state fatte cose egregie e siamo riusciti a darci il giusto, l’un l’altro, reciprocamente.

Teramo è il fulcro della tua vita; sei ufficialmente dei nostri o le origini calabresi hanno ancora il sopravvento?

  • Metà e metà. Teramo la adoro, amo le sue montagne, le sue colline e l’intero comprensorio; lì, poi, ho amici carissimi, tu a parte. Cito Vincenzo Cappelli, Dario Di Dario, Piero D’Orazio ed Enzo Montani, ma devo altresì dirti che amo ovviamente la mia terra, spesso maltrattata dagli stessi calabresi. La quotidianità ed il continuo girovagare mi rendono, nei fatti, un cittadino dell’Italia, tant’è che il mio soggiorno è da considerarsi alla stregua di un autogrill.

Non molto tempo fa, tu non eri a Napoli e Filippo Di Antonio non era il proprietario del Teramo, vi ritrovaste ospiti in una mia trasmissione: cosa ricordi di quel Non è Supergol?

  • Ricordo benissimo che in quella circostanza eravamo ospiti da semplici appassionati di calcio, ma ricordo come al solito una trasmissione molto professionale, come sai fare, con contenuti e sostanza, ingredienti difficili da saper miscelare. Il presidente del Teramo Di Antonio? Persona educata quanto ferma nelle sue convinzioni; è quel che percepii.

Napoli, un sogno?

  • …che spero continui, cercando di restare sempre me stesso. A Napoli ho trovato una situazione molto ben delineata, giustamente, da squadra Campione d’Italia.

Di recente ci siamo salutati a Montorio al Vomano, ricordando Giandonato. Sono certo che, se farai grandi cose anche a Napoli, dietro ci sarà ancora un po’ della sua maestosa figura di uomo perbene…

  • Dopo la sua morte sei stata la seconda persona con la quale ho parlato e piangemmo assieme. Giando è stato e sarà sempre un punto di riferimento per me, anche adesso che non c’è più. Era un amico fraterno più che un cognato come tanti, e da lui attingevo nei momenti di bisogno. Riusciva sempre a farti star bene perché lui è stato un uomo sereno ed è nel mio cuore, dove resterà per sempre – qui Mauro viene vinto dall’emozione, resta in silenzio per un po’: piange – ndr -. Era una colonna indistruttibile… scusami per l’emozione ma anche tra 20 anni, parlando di lui, sarà così. E’ stato il faro per noi tutti; per me, per i suoi figli, per le nostre famiglie.

E’ tempo di fermarsi; crediamo di conoscere i tempi da poter carpire al DS del Napoli calcio Campione d’Italia, ancora di più da operatore dell’informazione di una squadra d’Eccellenza. Anche l’amicizia non deve prevaricarli. Grazie Mauro, in bocca al lupo!