TERAMO – Ancora un altro morto, ancora un altro suicidio dietro le sbarre.
Questa volta a decidere di farla finita è un nostro concittadino, Luca di soli 45 anni.

Un ragazzo con un passato difficile alle spalle, che la società avrebbe dovuto aiutare attraverso un supporto reale e che al contrario, attraverso il suo sistema collaudato, fatto di reclusione, sofferenza e degrado, ha condannato a morte.

Il dolore per questa giovane vita si trasforma in rabbia nel sapere che aveva chiesto la pena alternativa per gestire i problemi psichici che proprio in carcere gli erano stati diagnosticati, e che la reclusione non faceva altro che acuire.

Ci chiediamo perché questo grido di aiuto non sia stato ascoltato dal Magistrato di Sorveglianza e soprattutto, perché Luca non sia stato trasferito presso la residenza abruzzese per l’esecuzione delle misure di sicurezza, (Rems) di Barete.

Perché?

Quanti morti dovranno avere ancora sulla coscienza prima di capire che il carcere rappresenta lo strumento principe del fallimento di questo Stato democratico?

Lasciar marcire esseri umani in una tomba per vivi per punirli dei loro reati è anche contrario alla finalità del carcere stesso, che a detta dello stesso Stato dovrebbe essere di recupero e reinserimento sociale.

È ora di mettere fine a questa barbarie e pretendere il rispetto della dignità dell’essere umano.

Non si può morire di carcere così come è stato per Luca e così come sarà per Alfredo Cospito.

Del piagnisteo del Sappe non sappiamo che farcene. Prima di puntare il dito verso qualcuno si facessero un esame di coscienza proprio loro, che sono parte dell’ingranaggio e parte fondamentale del problema, e questo lo sanno bene…