10 febbraio: è il “Giorno del Ricordo”, dei quasi ventimila italiani torturati, assassinati e gettati nelle foibe dalle milizie della Jugoslavia di Tito alla fine della seconda guerra mondiale. 8 settembre 1943, l’Italia in guerra chiede la resa. Tutto si sfaldamento nel Paese. Il crollo dell’esercito italiano coinvolge anche Croazia e Slovenia, le due regioni balcaniche confinanti con l’Italia. Esplode la violenza dei partigiani jugoslavi di Josip Broz, nome di battaglia Tito” che si vendicarono contro tutti gli italiani che avevano amministratori quei territori. “Li chiamavano fascisti: erano italiani” canta Simone Cristicchi in “Magazzino 18”. 400mila italiani vennero considerati “nemici del popolo”. Quasi 20 mila furono prima torturati e poi gettati nelle foibe. I primi a finire in foiba furono carabinieri, poliziotti e guardie di finanza, nonché i pochi militari fascisti della RSI e i collaborazionisti che non erano riusciti a scappare per tempo (in mancanza di questi, si prendevano le mogli, i figli o i genitori). Le uccisioni avvenivano in maniera spaventosamente crudele. I condannati venivano legati l’un l’altro con un lungo fil di ferro stretto ai polsi, e schierati sugli argini delle foibe. Quindi si apriva il fuoco trapassando, a raffiche di mitra, non tutto il gruppo, ma soltanto i primi tre o quattro della catena, i quali, precipitando nell’abisso, morti o gravemente feriti, trascinavano con sé gli altri sventurati, condannati così a sopravvivere per giorni sui fondali delle voragini, sui cadaveri dei loro compagni, tra sofferenze inimmaginabili. Soltanto nella zona triestina, seimila sventurati furono gettati nella foiba di Basovizza e nelle altre foibe del Carso.

I massacri delle foibe e l’esodo dalmata-giuliano sono una pagina di Storia che per molti anni l’Italia ha voluto dimenticare. Nel 2005 gli italiani furono chiamati per la prima volta a celebrare il “Giorno del Ricordo” seguendo le indicazioni della legge nr 92/2004, in memoria dei quasi ventimila nostri fratelli torturati, assassinati e gettati nelle foibe (le fenditure carsiche usate come discariche) dalle milizie della Jugoslavia di Tito alla fine della seconda guerra mondiale. La memoria delle vittime delle foibe è un tema che ancora divide. Eppure quelle persone meritano, esigono di essere ricordate. A me, vi confesso, non piace parlare di foibe, e ancor meno mi piace contrapporle  alla Shoah. Non mi piacciono queste partite sul dolore e non mi piace evocare la storia per associarla solo all’orrore. Tantomeno mi piace identificare due parole belle e dolci come memoria e ricordo, l’una che richiama alla mente e l’altra al cuore, con tremendi massacri. Non mi piace applicare il manuale Cencelli agli orrori. E poi sono tragedie incomparabili. Come catastrofe umanitaria la Shoah giganteggia. Se invece parliamo in relazione alla storia italiana, sono morti più italiani nella foibe (dai 18 ai 20mila) che nei lager nazisti (circa 6 mila). Il paragone comunque è improprio e ferisce la memoria di entrambi, soprattutto per l’uso politico che se ne fa; quel che paragoniamo è l’atteggiamento prevalente verso l’uno e verso l’altro. È l’emiparesi della memoria, l’abuso ideologico. Le foibe furono per decenni il ricordo atroce di una minoranza di profughi e il ricordo polemico di una minoranza di “patrioti”. Solo mezzo secolo dopo cominciarono lentamente a risalire dal buio e ad affacciarsi timidamente nei libri di testo e nelle commemorazioni ufficiali, dove non si capiva cosa fosse realmente accaduto; sembravano storie private, locali e famigliari, vicende avulse dalla storia. Infine avvenne l’ufficializzazione del ricordo con l’istituzione della giornata delle foibe e dell’esodo, che furono il frutto di un triplice odio: odio etnico, verso gli italiani; odio ideologico dei comunisti verso i fascisti o presunti tali; odio di classe verso i borghesi giuliani. Per questo furono una concentrazione speciale di orrore e crudeltà.

Per questo le foibe finirono nell’omertà sin da quando furono perpetrate. Perché – come ha ricordato Giampaolo Pansa – tiravano in ballo le responsabilità di un’ala cospicua della lotta partigiana nei massacri, perché incrinavano il rapporto con la vicina Jugoslavia di Tito, perché c’era il tabù della cortina di ferro che spartiva i due mondi, l’occidente filoamericano e l’Est filosovietico.  Solo mezzo secolo dopo cominciarono lentamente a risalire dal buio, e a circolare nel Paese, ad affacciarsi timidamente, dei ricordi nei libri di testo e nelle commemorazioni ufficiali. Ogni anno il giorno del ricordo rischia di tornare nel buio, dopo la sua veloce parabola. È rimasto Simone Cristicchi, col suo spettacolo “Magazzino 18” dedicato alle foibe, a mantenere acceso un filo di memoria. Le contestazioni che ha ricevuto non sono solo un atto incivile e intollerante di odio verso migliaia di vittime inermi e verso chi osa ricordarle, ma hanno anche un effetto di dissuasione e intimidazione che va denunciato: sono un avvertimento, una minaccia per chi voglia addentrarsi nel tema scabroso. Chi volete che si cimenti nel ricordo delle foibe se sa che poi deve sottoporsi a questi attacchi e affrontare queste censure nel silenzio pressoché generale? Meglio parlare d’altro.

La peculiarità delle nostre feste civili è che vengono tenute in piedi e alimentate da un’intenzione polemica, sono sempre feste contro qualcuno, commemorano i giorni del Male o celebrano la cacciata del Maligno, non sono giornate positive della concordia. Ci unisce l’oblio. Non penso ad una cultura condivisa, che proprio non mi piace. Non parlo di uguaglianza di visione davanti alla storia. Parlo di umanità, rispetto, civiltà, valori. Sappiamo da tempo, abbiamo acquisito nella realtà dello storia, che  il vero oppio dei popoli  è stata l’ideologia, e non la religione. La vera droga, l’odio che ha ucciso, massacrato, distrutto, in nome del niente, sono state le ideologie .  Ma  queste non possono continuare a celare la verità: il non voler aderire a una  commemorazione implica un’approvazione tacita per ciò che è accaduto, negando, nella sostanza, il rispetto per le vittime. Quando c’è un evento doloroso – una morte, un attentato, una strage o qualunque cosa implichi delle vittime – il mondo osserva un minuto di silenzio. Chi si rifiuta di farlo, è sostenitore della controparte: i carnefici. Nell’ultima fase del secondo conflitto mondiale, i massacri delle foibe causarono tante vittime nella regione carsico – istriana . Non possiamo più negare che quella delle foibe fu una tra le pagine più terribili del Novecento per il popolo italiano, ed è giusto onorare la solennità della “Giornata del ricordo” che tiene vivo quanto accadde a quelle persone in una zona oggi a cavallo tra Italia, Croazia e Slovenia. E’ importante ricordare, almeno una volta l’anno, che i morti non hanno colore, ogni persona uccisa ha la sua storia, ed è uguale, con pari dignità di vittima. Ebrea, palestinese, nera, bianca. Dobbiamo sempre ricordare che le divisioni non pagano mai e portano a nuove divisioni. Dobbiamo sempre ricordare il senso della sofferenza degli ebrei, dei polacchi, degli zingari, degli omosessuali. Ma anche degli ucraini massacrati da Stalin, della carneficina dei khmer rossi cambogiani, degli  stermini della Cia in centroamerica, delle stragi degli argentini “desaparecidos”, degli scempi siriani contro i bambini e le donne kurde. Ma anche le stragi quotidiane figlie del capitalismo che azzanna gli stati in centro africa come anche il Venezuela dove 40mila persone sono morte per fame e senza medicinali nel silenzio complice dell’europa e degli americani. Come delle popolazioni giuliane, dalmate, fiumane e istriane, se vogliamo stimolare una vera, reale, onesta riflessione sulle forme di governo distanti dal rispetto dei quei Diritti Umani . I giorni della memoria dunque, dovrebbero essere prima di tutto la coscienza delle responsabilità. I giorni della memoria hanno senso,  solo quando sono il risultato di una maturazione storica, di una coscienza collettiva, sia dei propri errori che delle proprie sofferenze. Altrimenti ridurremo queste commemorazioni ad una clava politica per populismi da due centesimi al chilo. E non meritano questo nessuno dei commemorati.

Anzi, per essere più chiari non dovremmo neppure stare qui  a scrivere che le morti non hanno colore, che le vittime delle foibe meritano il rispetto ed il ricordo, al pari di tutti coloro i quali hanno perso la vita in seguito alle grandi tragedie del ‘900. Che è giusto conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani , e di tutte le vittime delle foibe, oltre che dell’esodo dalle loro terre. Che non dovrebbe più esiste il negazionismo. Che la memoria da sola non basta. Ci vuole la coerenza e la coscienza di chi vuole che la verità venga riconosciuta ad ogni costo. Che, è vero, la memoria delle vittime delle foibe continua ad essere taciuta nelle aule delle nostre scuole, e “negata” da chi, ironia della sorte, si è tanto battuto per fare approvare anche in Italia una legge contro il “negazionismo”. Che ricordarsi di tutta quella povera gente , 10, 100, 1000, 10000 persone, non importa, è un dovere nazionale. Minimizzare, negare, giustificare il tutto , è semplicemente aberrante . Non ci sono morti degne e morti indegne. I morti non hanno colore o appartenenza. Restiamo umani.