A testa bassa. Eccolo uscire guardando solo per terra. Il suo tempo finisce qui. Ora per lui si aprirà solo un cancello di ferro. Morirà in carcere come Riina e Provenzano. Ed è giusto così. Mentre si apre il capitolo dei segreti da svelare, quelli del passato e quelli del presente. I padrini delle stragi, registi e attori della strategia della tensione corleonese che ha violentato e cambiato la storia d’Italia. All’appello mancava solo lui, Matteo Messina Denaro, uno dei “rampolli” di Totò Riina, ricercato dal 1993 mentre era in corso l’attacco terroristico di Cosa nostra alle istituzioni e alla convivenza civile, di cui il boss di Castelvetrano è stato uno dei protagonisti. Era l’ultimo dei “volti noti” di Cosa Nostra. E come Michele Greco, Riina, e come Provenzano anche il capo dei capi, U siccu, Diabolik, il latitante trentennale Mattia Messina Denaro non è stato catturato chissà dove, ma nella Sicilia dove resistono i complici, gli omertosi e chi non parla con “la sbirritudine”. Come per i suoi predecessori, così anche per “Mmd” non c’erano grandi immagini, ma almeno le sue sono a colori. 20 condanne all’ergastolo. 30 anni di latitanza contando su appoggi che non prevedessero più i legami con la famiglia d’origine (finita in galera quasi per intero), ma conservando – anche a distanza – quelli con chi ha continuato a garantirgli protezione: compresi “brave persone”, pezzi di potere istituzionale, come ipotizzato più volte dagli inquirenti che gli davano la caccia. Dopo il piccolo Di Matteo sciolto nell’acido, dopo Capaci e via D’Amelio Messina Denaro s’era messo sulle tracce di Maurizio Costanzo, infiltrandosi pure tra il pubblico del teatro Parioli insieme all’altro mafioso stragista Giuseppe Graviano; un anno dopo Costanzo restò miracolosamente illeso nell’esplosione di via Fauro . Ora U siccu, che custodisce tanti segreti, a cominciare dall’ipotetico archivio segreto di Riina sfuggito ai carabinieri nella mancata perquisizione nel covo del boss di trent’anni fa, pagherà -in parte- i suoi debiti. La cattura più agognata finalmente arrivata.
La bella e confortante notizia dell’arresto arriva mentre ho appena ricordato il trentesimo anniversario dell’arresto di Totò Riina. Una notizia di cui essere felici ed è giusto, anzi doveroso, il riconoscimento alle Forze di polizia e alla Procura, che per tanti anni, con sforzo e impegno incessanti, anche a costo di sacrifici, hanno inseguito il latitante. Ciò che però un po’ preoccupa è rivedere le stesse scene e reazioni di trent’anni fa: il clima di generale esultanza, l’unanime plauso dei politici, le congratulazioni e le dichiarazioni che parlano di “grande giorno”, di “vittoria della legalità” e via dicendo. Non vorrei si ripetessero pure gli errori commessi in seguito alla cattura di Riina, e di Provenzano. Le mafie non sono riducibili ai loro “capi”, non lo sono mai state e oggi lo sono ancora di meno, essendosi sviluppate in organizzazioni reticolari in grado di sopperire alla singola mancanza attraverso la forza del sistema. Sviluppo di cui proprio Matteo Messina Denaro è stato promotore e protagonista, traghettando Cosa Nostra dal modello militare e “stragista” di Riina a quello attuale, imprenditoriale e tecnologico capace di dominare attraverso la corruzione e il “cyber crime” riducendo al minimo l’uso delle armi. La sua latitanza è stata accompagnata anche dalla latitanza della politica indirettamente complice di quella di Messina Denaro: la mancata costruzione, in Italia come nel mondo, di un modello sociale e economico fondato sui diritti fondamentali – la casa, il lavoro, la scuola, l’assistenza sanitaria – modello antitetico a quello predatorio che produce ingiustizie, disuguaglianze e vuoti di democrazia che sono per le mafie di tutto il mondo occasioni di profitto e di potere. Ci auguriamo che all’arresto segua una piena confessione e collaborazione con la magistratura, che il boss di Cosa Nostra sveli le tante verità nascoste, a cominciare da quelle che hanno reso possibile la sua trentennale latitanza: non si sfugge alla cattura per trent’anni se non grazie a coperture su più livelli. Occorre che queste complicità emergano, anche perché solo così tanti famigliari delle vittime di mafie che attendono giustizia e verità avrebbero parziale risarcimento al loro lungo e intollerabile strazio.
La lotta alla mafia non si arresta con Matteo Messina Denaro perché l’ultima mafia è sempre la penultima, perché il codice genetico della mafia affida alla sua creatura un imperativo primario: quello di sopravvivere. Ce n’è un’altra infatti che cova, ha sempre covato. Nei cambiamenti storici che sono avvenuti, ci sono sempre delle ceneri che ardono sotto. Dunque esultiamo pure per la cattura di Messina Denaro ma nella consapevolezza che l’arresto di oggi non è la conclusione ma la continuità di un lungo percorso, di una lotta per sconfiggere le mafie fuori e dentro di noi. Falcone e Borsellino, La Torre e Dalla Chiesa, Fava e Mattarella, Chinnici e don Puglisi, e più di mille altri. A chi interessano oggi i morti di mafia? La parola mafia manca completamente dal lessico, è assente anche dai discorsi di tutti gli esponenti parlamentari. . Eppure c’è un fattore indiscutibile: il principale problema di ordine pubblico in Italia sono le mafie. Eppure lo sguardo deformato delle élites politiche e dell’opinione pubblica sui problemi dell’ordine pubblico e della giustizia produce una sub-cultura funzionale agli interessi mafiosi. Val la pena allora ricordare che non c’è proprio nulla di costituzionalmente dovuto nell’ammorbidimento delle misure antimafia. La Corte costituzionale ha stabilito decine di volte che la collettività ha il dovere di difendersi dagli attacchi violenti e sovvertitori; e che la Corte europea dei diritti di Strasburgo ha a più riprese stabilito che lo Stato ha il dovere di proteggere le vittime dei reati e di non permettere troppo facilmente la prescrizione dei reati.
Occorre rammentare che Peppino Impastato, Mauro Rostagno e Giancarlo Siani (per fare solo alcuni esempi) non erano sprovveduti che prendevano per estorsioni e faide da traffico di stupefacenti meri furtarelli o liti per corna. E non si può dimenticare – mai – che le mafie sono un gigantesco potere economico-finanziario, che muove enormi affari e interessi, dall’America Latina all’Italia e all’Europa tutta. Oggi ha vinto lo Stato. Cioè noi. Ma non bisogna mollare la presa perchè ogni vittoria della mafia è un danno politico e sociale. E anche economico.