13 dicembre. Santa Lucia martire. Manca poco. Oramai ci siamo. E’ quasi arrivato Natale e non ho ancora comprato il regalo. Che vergogna. Neanche un regalo. E che vergogna. E che Natale è se non c’è il regalo. Che poi, si sa, più spendi e più vuoi bene. Più compri e più vuoi bene. Si sa.

A mia moglie un bel diamante, che non si accorga che ho l’amante.

A mio figlio il cellulare 6G, così mi sfancula meglio, più velocemente. Che, del resto, se mi stesse a sentire non saprei che dirgli.

A mio marito una bella bottiglia, che se beve almeno mi fa ridere.  Altrimenti è di una tristezza mortale.

Eppure, invece di affogare la nostra solitudine tra la gente, e nei negozi, basterebbe fermarsi un attimo in silenzio davanti al presepe. Come ha scritto ieri il Papa “A Natale siamo invitati a metterci in cammino, con Colui che si è fatto uomo per incontrare ogni uomo”. Perché non è mai tardi per fare il regalo più grande che possiamo fare a noi stessi: ricordarci quali sono i veri doni che ci porta un bambino che nasce in una capanna , e che annuncia la stella della terra martire di Betlemme: verità, amore, gioia, preghiera

Come diceva Santa Lucia nel momento del martirio ad opera di Diocleziano  “vado verso Betlemme” proprio oggi possiamo chiederci cosa accadrebbe se anche noi ci fermassimo a riflettere pochi minuti sulla fragilità di quel bambino. Senza dubbi ci accorgeremmo di aver sbagliato percorso. Basterebbe questo per cambiare il nostro Natale. E la nostra vita. Perché, da quella notte, la mangiatoia è diventata il simbolo della fede. Anzi, da quel Natale, il volto dei malati, la solitudine degli anziani, l’amarezza di tutti gli ultimi della terra, sono divenuti il luogo dove quel bambino che nasce nella grotta “perché non c’era posto” continua a vivere in clandestinità.

Se solo ci facessimo un regalo e provassimo a cercarlo mentre giriamo a vuoto sui percorsi bui della nostra vita, nelle nostre strade vuote, nei nostri giorni senza senso. A noi il compito di cercarlo. Se solo ci facessimo un regalo e provassimo a riconoscerlo nell’altro che ci incrocia la nostra vita. Se solo ci facessimo un regalo e ci mettessimo in cammino, dunque, senza paura. Se solo ci facessimo un regalo cercando il senso vero e il bandolo della nostra esistenza redenta, la festa di vivere, il gusto dell’essenziale, il sapore delle cose semplici, la voglia dell’impegno, lo stupore della vera libertà, la tenerezza della preghiera. Se solo ci facessimo un regalo potremmo andare anche noi fino a Betlemme. Il viaggio è lungo, lo so. Molto più lungo di quanto non sia stato per i pastori. Ai quali bastò abbassarsi sulle orecchie avvampate dalla brace il copricapo di lana, allacciarsi alle gambe i velli di pecora, impugnare il bastone e scendere giù per le gole di Giudea, lungo i sentieri odorosi di sterco e profumati di menta. Per noi ci vuole molto più che una mezz’ora di strada. Dobbiamo attraversare venti secoli di storia. Dobbiamo valicare il pendio di una civiltà che qualificandosi cristiana, stenta a trovare l’antico tratturo che la congiunge alla sua ricchissima sorgente: la
capanna povera di Gesù. Se solo ci facessimo un regalo e andassimo a trovare Un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”.
Il viaggio è difficile, lo so. E’ un viaggio lungo, faticoso, difficile, lo so. Mettiamoci in cammino, senza paura. E dal nostro cuore, non più pietrificato dalle delusioni, strariperà la speranza.