“Di ciò di cui non si può parlare si deve tacere”, sentenziava Ludwig Wittgenstein nella proposizione più celebre del suo “Tractatus”. E’ così. Il buon senso ci dice che se uno esprime un giudizio è perché è esperto di quella cosa.  Chi definisce una volta per tutte, traccia un limite con piglio risoluto, definitivo, tranchant, come fa Christian De Sica sul vino abruzzese evidentemente è esperto, padroneggia il tema, vive nel cono d’ombra di cui parla e di cui si è avviluppati.  Non posso credere che in un film che arriverà a Natale in tante case italiane, prodotto da una casa internazionale, un attore possa offendere migliaia di produttori che lavorano, sudano, investono, rischiano, studiano senza avere una conoscenza particolarmente accurata del tema. Certamente il De Sica noto per essere figlio di De Sica e poco più, ha intùito, orecchio e fiuto, della materia e può dare un giudizio. Certo sa captare al volo le espressioni artificiose e sbagliate e offensive che lo rendono simpatico agli abruzzesi. Certamente il suo giudizio è letterale, da il senso: l’offesa .

Per questo sono bastate poche righe sui social dell’indignato assessore alla cultura della Regione Abruzzo Daniele D’Amario – che è imprenditore del settore – per scatenare una rivolta fatta di critiche al signor De Sica noto per essere figlio di De Sica e poco più. Sono bastate le parole in difesa dell’Abruzzo del combattivo consigliere regionale Mauro Febbo sceso in campo con il suo piglio a fianco delle centinaia di produttori vitivinicoli abruzzesi e dei prestigiosi imprenditori abruzzesi del settore, che da anni si affermano in tutto il mondo, per rimettere  a posto il De Sica noto per essere figlio di De Sica,

Come è oramai noto dopo l’ intervento nella mia rubrica “Gastrosofia” della Accademia della cucina teramana con i suoi 77mila iscritti , l’attore De Sica  nel suo ultimo film , spero costretto dal copione, dice che il vino abruzzese “è una merda“.  E non ditemi che è una battuta.  E non provate a dire che una cosa così fa ridere. Al figlio del grande De Sica, al signor Christian che sarà ricordato per i cine panettoni e qualche battutaccia di dubbio gusto e zero comicità, ed eventualmente a chi lo ha pagato per dire questa battuta che offende tutti i grandi e prestigiosi produttori di vino, qualcuno dica che la presenza della vite in Abruzzo risale all’epoca Romana, e da allora i vini Abruzzesi sono menzionati negli scritti di autori di ogni epoca, a partire da Polibio, che menzionò i vini narrando le gesta di Annibale nella battaglia di Canne (216 a.C.).** **

Qualcuno gli dica che Andrea Bacci, nell’opera “De naturali vinorum historia de vinis Italiae” del 1596, parla dei vini di Sulmona e del territorio dei Peligni e Michele Torcia nel 1792 descrive per la prima volta la presenza del vitigno Montepulciano in Abruzzo. A partire dall’800, sono innumerevoli le testimonianze che rimandano al Montepulciano, che diventa dai primi del 1900 l’emblema di questo territorio.
Qualcuno gli dica che nel 1897 Edoardo Ottavi e Arturo Marescalchi nel “Vade-Mecum del commerciante di uve e di vini in Italia”, menzionano i vitigni Camplese o Campolese (ossia la Passerina), il Racciapollone (ossia il Montonico), il Tivolese, il Verdicchio, la Malvasia, il Moscatello, il Cordisco e il Primutico (Montepulciano), il Gaglioppo, l’Aleatico, il Lacrima. Alla fillossera seguì il reimpianto di varietà più produttive, come il Trebbiano toscano e abruzzese, e la viticoltura in Abruzzo come in molte altre parti d’Italia inseguì la logica del profitto immediato, privilegiando la quantità sulla qualità. Per arrivare ad un deciso cambiamento di rotta si dovrà attendere la seconda metà del XX secolo, quando presero piede le prime iniziative volte alla ricerca dell’eccellenza in campo agroalimentare. Nel frattempo molte varietà autoctone fortunatamente non sono completamente scomparse dal territorio della regione, tanto che oggi, alcune di esse sono state riscoperte e giustamente valorizzate sia per le loro eccellenti caratteristiche chimico-fisiche che organolettiche.
Qualcuno gli dica che con la motivazione  “Una regione ricca di tradizione e intrisa di innovazione”  l’Abruzzo è stata eletta regione vinicola dell’anno dalla rivista inglese Wine Enthusiast, spuntandola su Marlborough, New Zealand, Southern Oregon/Rogue Valley, Oregon, Uco Valley, Argentina e SLO Coast, California. A decretarne la vittoria e la definizione di “gemma nascosta”, il mix di villaggi incontaminati, castelli storici, gastronomia locale, tradizione pastorizia e ovviamente i suoi vini: dal rosso Montepulciano ai grandi bianchi, quali Trebbiano e Pecorino abruzzese, fino al Cerasuolo d’Abruzzo. *“*Un importante riconoscimento internazionale per la nostra regione e il lavoro che i nostri produttori fanno ogni giorno, Secondo significativo riconoscimento per il mondo del vino italiano arrivato nel giro di poco tempo.
Qualcuno gli dica che l’Abruzzo, è stata eletta “migliore regione a vocazione vinicola a livello globale”… è tanta roba. Il magazine statunitense è rimasto evidentemente stregato da quel mix di “tradizione intrisa di innovazione”, come fanno sapere dalle colonne della testata enoica. In pochi giorni, insomma, l’Italia del vino fa doppietta, incassando preziosi riconoscimenti da alcune delle riviste di settore più importanti a livello mondiale. La conformazione geografica abruzzese ha di certo contribuito a indirizzare la decisione degli esperti statunitensi. Nell’entroterra il massiccio del Gran Sasso, con la più importante vetta della catena appenninica, dista appena una cinquantina di chilometri in linea d’aria dalle **rive adriatiche, con i trabocchi a disegnare la silhouette della costa locale. Nel mezzo una ricchezza culturale, agricola ed enoica senza paragoni: **con i grandi vini a dettare legge. Dal rosso più famoso, il Montepulciano, fino a bianchi come il Trebbiano e il Pecorino, passando per il rosato di Montepulciano e il Cerasuolo.
Qualcuno dica a chi non sa ma parla evidentemente non sapendo che “I vini abruzzesi raccontano di sé attraverso le uve locali che ne esprimono le caratteristiche e il senso del luogo”  come scrive  il Wine Enthisiast nell’eleggere l’Abruzzo come Region of the Year per il 2022.