L’Avvento è il tempo forte dell’Anno liturgico che prepara al Natale. L’Avvento è tempo di conversione, che invita i credenti con la voce dei profeti e soprattutto di Giovanni Battista: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” (Mt 3, 2). L’Avvento è il tempo della speranza che la salvezza giunga alla loro maturazione e pienezza, per cui la promessa si tramuterà in visione. In questa seconda domenica di Avvento Papa Francesco, il Papa disabile, ha scelto di parlare di disabilità. Parole forti le sue. Parole chiare. Che i cristianucci giacca e pelliccia, quelli della solidarietà un tanto al chilo, quelli delle feste dei “buoni” che si rincorrono proprio a Natale per dieci giorni l’anno, quelli delle cene per aiutare chi ha fame, quelli “guardate quanto sono buono e bravo”,  guardate come sono generoso ho messo 10 euro, guardate come sono altruista ho regalato la giacca invece di buttarla nel secchio ….  ovviamente non ascolteranno. Neppure a Natale. “Ogni volta che la comunità cristiana trasforma l’indifferenza in prossimità e l’esclusione in appartenenza, adempie la propria missione profetica” .

Ma nonostante i tanti “buoni”  che si affollano nelle feste dei “buoni” , le persone con disabilità attualmente costituiscono uno dei gruppi più esclusi della nostra società. Sia perché spesso le norme giuridiche a loro favore non sono attuate, sia perché sul piano sociale e culturale i “diversi” (come vengono spesso percepiti i disabili, e molti fatti di cronaca, anche recenti, purtroppo lo testimoniano) sono ancora oggetto di gravi discriminazioni.

Il Papa  sceglie proprio l’Avvento per dirci che la disabilità è soprattutto vita quotidiana.  Sembra parlare proprio  a chi fa “notizia”  sulla disabilità ondeggiando tra la ricerca del dolore, del dramma, del caso, dello scandalo, e la spettacolarizzazione. Si racconta il disabile respinto a scuola, quello che non può fare la gita scolastica, quello che non può uscire di casa perché la carrozzina non entra nell’ascensore, o ancora i disabili maltrattati . Si racconta dei falsi invalidi, dei falsi ciechi. Ma non si racconta mai chi c’è dietro: nel silenzio. Non si racconta mai dei politici che fanno ottenere la pensione in cambio di voti. Si raccontano i disabili geni o i disabili campioni (nello sport e in Tv e non solo). Quasi fenomeni da baraccone da esibire. Alibi per poter continuare a dire “diversamente abili”, parole che proprio i disabili non sopportano. Perché sembrano solo una giustificazione, “tanto voi siete solo diversamente abili”. Invece non si racconta mai, o quasi, la quotidiana a-normalità. Cioè la quotidiana fatica di cercare una vita normale sapendo bene che mai lo sarà. La vita normale, purtroppo, non fa notizia, con le sue grandi e piccole fatiche, e non solo per i disabili.

Non si raccontano mai le file alla Asl con altri genitori, spesso anziani, che non conoscendo bene leggi e regole si accontentavano di quello che dice l’impiegato annoiato e scontroso, lo accettavano in silenzio. Non si parla dei veri diritti dei disabili e delle loro famiglie. Quelli esistenti, quelli da difendere, quelli da rivendicare. Non sapendo, o non volendo sapere, che la pandemia e il lockdown sono stati un vero dramma per quei disabili costretti a casa, senza capire il perché, obbligati a non avere quei contatti fisici che fanno parte della loro terapia. Per non parlare del terrore dei familiari di poter portare in casa il contagio. Non si fa mai una riflessione – un po’ dura –  e si tace il fatto che non tutte le disabilità sono uguali, non tutte sono considerate “notiziabili”. Trova molto spazio la disabilità fisica, la carrozzina, le protesi. Nel bene e nel male. Forse perché sono disabili che parlano, che si esprimono. Ed è più facile e, a volte, anche spettacolare raccontarli. Così anche le persone down, allegre, simpatiche, comunicative. Negli ultimi anni, è cresciuta l’attenzione verso il mondo dell’autismo, aiutata anche da alcuni genitori. Nulla o quasi, invece, è rimasta l’attenzione verso altre forme di disabilità mentale, quella di ragazzi e adulti poco comunicativi e per nulla, costretti in carrozzine, ma che urlano e si dimenano, brutti, sporchi e cattivi, mi verrebbe da dire. Brutti anatroccoli che mai diventano splendidi cigni. Ma i loro genitori? Disturbano? Spaventano? O solo ti costringono a vedere quello che non vorresti vedere? Anche loro li chiameremo diversamente abili? Stanno col pannolone, anche a 50 anni. Anche a 50 anni sono da imboccare. Ma anche loro sono capaci di un sorriso.

Promuovere il riconoscimento della dignità di ogni persona, di tutte le persone, è una responsabilità costante di ogni cristiano. E di tutti (credo). E’ la missione di continuare nel tempo la vicinanza di Gesù Cristo a ogni uomo e ogni donna, in particolare a quanti sono più fragili e vulnerabili, che l’Avvento ci propone con forza. Accogliere tutte le persone con disabilità e rispondere ai loro bisogni è un dovere della comunità  per dirsi “civile”. Perché “la persona umana” – ha continuato Francesco anche quando risulta ferita nella mente o nelle sue capacità sensoriali e intellettive, è un soggetto umano, con i diritti sacri e inalienabili propri di ogni creatura umana“. Non c’è inclusione – ha sottolineato il Pontefice – se manca l’esperienza della fraternità e della comunione reciproca. Non c’è inclusione se essa resta uno slogan, una formula da usare nei discorsi politicamente corretti, una bandiera di cui appropriarsi. Non c’è inclusione se manca una conversione nelle pratiche della convivenza e delle relazioni”. Benvenuti nell’Avvento, il tempo che ci ricorda che potremo essere credibili solo quando annunciamo che il Signore ama tutti, che è salvezza per tutti e invita tutti alla mensa della vita. Nessuno escluso.