TERAMO – “In Italia, il sistema di sostegno e accoglienza delle donne che subiscono violenza si regge sul lavoro dei Centri Antiviolenza (CAV) e delle Case rifugio, strutture la cui esistenza è prevista dalla legge ma che lo Stato non è mai riuscito a finanziare e organizzare in modo adeguato”. E’ il commento del Collettivo Malelingue, nell’annunciare il presidio che si svolgerà a Teramo venerdì 25 novembre, dalle ore 18.00 in Corso San Giorgio (zona Bar New York), in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza maschile contro le donne e di genere.
“Come dicono da anni i movimenti femministi e le associazioni di donne, i CAV e le case rifugio sono finanziati con meccanismi che non sono chiari, efficaci, omogenei e, soprattutto, sufficienti. A differenza di altre realtà – continua la nota del collettivo – nel nostro territorio abbiamo un centro antiviolenza strettamente provinciale e, per questo, dovrebbe essere un fiore all’occhiello. Peccato che non funzioni! Ci chiediamo e vi chiediamo: si tratta di un problema di mancanza di fondi o di cattiva gestione delle risorse? Un CAV, prima linea di frontiera contro la violenza, non dovrebbe garantire assistenza h24? Eppure, molte testimonianze riportano che il CAV nostrano, oltre ad avere orari di apertura veramente limitati, sia difficilmente reperibile”.
“Sarebbe auspicabile che l’unico centro antiviolenza di Teramo faccia riferimento alle buone pratiche nazionali di riferimento Di.Re. e anche alle indicazioni della convenzione di Instanbul, che vedono i CAV quali punti nevralgici di una cultura e di una società diversa. A questo proposito, ci chiediamo e vi chiediamo: il CAV teramano non è, forse, troppo scarno e vuoto di contenuto? Non è forse fin troppo assordante il silenzio su questioni come l’accessibilità all’aborto o sulla vittimizzazione secondaria, quando tutta la comunità si è scagliata contro la vittima che ha denunciato una presunta violenza? Eccetto le panchine, le scarpette rosse e la presenza in giornate istituzionali non sarebbe sicuramente più efficace fare attività di formazione continua e incontri con le diverse realtà del territorio che hanno a cuore queste tematiche? Come mai, di fronte alla richiesta di un incontro siamo state rimbalzate alla Provincia? Sicuramente non è malafede ma, forse, è gestire un centro antiviolenza come se fosse l’ufficio delle imposte? Un centro antiviolenza, tra le altre cose, dovrebbe essere laico per vocazione. Ci chiediamo e vi chiediamo: come è possibile, dunque, collaborare strettamente con la diocesi, promuovendo laboratori di taglio e cucito, assolutamente sterili in prospettiva di una vera indipendenza e autonomia per una donna che ha intrapreso un percorso di fuoriuscita dalla violenza?”, incalza Malelingue.
“Ci sembra evidente che il nostro CAV manchi totalmente di un approccio femminista. Il personale non è adeguatamente formato e preparato, risponde in modo inappropriato e approssimativo, talvolta colpevolizzando la vittima che vi si rivolge (come da segnalazione di compagn? e sorell?). Pubblico, laico, accessibile, solidale, protetto, efficace, sicuro, trasparente, efficiente, presente, qualificato, discreto, libero, empatico, chiaro e inclusivo nella comunicazione e nell’emersione dei casi di violenza genere, costruttore di comunità, integrato sul territorio, indipendente, collettivo… in una parola: femminista. Questo è un centro antiviolenza come dovrebbe essere. Questo è il centro antiviolenza che vogliamo. Un CAV che non funziona è violenza!”, conclude il Collettivo Malelingue.