Bravo Enrico di Carmine che non molla e rilancia. Brava la consigliera regionale Simona Cardinali che, forte del nuovo mandato istituzionale del suo amico e compagno di partito, il sottosegretario Luigi D’Eramo, apre le porte a progetti di valorizzazione della montagna teramana. Realtà che raccontano, con i fatti, la sovranità alimentare di cui tanto si parla. Progetti di gestione delle risorse alimentari che hanno come priorità e motore delle proprie politiche non la massimizzazione del profitto economico ma la soddisfazione delle esigenze alimentari delle persone; che promuovono un tipo di produzione alimentare sostenibile e rispettosa del lavoro di chi produce il cibo; che puntano a incoraggiare le economie alimentari locali, riducendo la distanza tra fornitori e consumatori, lo spreco e la dipendenza da società distanti dai luoghi in cui il cibo viene prodotto.
In altre parole, la sovranità alimentare si propone di dare il controllo delle risorse alimentari soprattutto a chi le produce, le distribuisce e le consuma anziché a grandi aziende che le utilizzano come mezzo per arricchirsi. La sovranità alimentare punta infine a valorizzare le conoscenze tradizionali sulla produzione delle risorse alimentari e la loro trasmissione di generazione in generazione, e promuove l’utilizzo di metodi e mezzi di gestione delle risorse alimentari che siano sostenibili dal punto di vista ambientale.
Da 15 semi ritrovati da un anziano agricoltore in un cassetto di un comò dimenticato in un fondaco, e messi a disposizione della comunità, è rinata a Pagliaroli di Cortino la coltivazione del mais otto file, “il mais del Re”, una tipologia autoctona di pannocchia a otto ranghi con i chicchi dal color arancione intenso, la più antica e rara tra le qualità di granoturco e fino a qualche anno fa in via di estinzione. Un progetto unico nella provincia di Teramo e in Abruzzo, promosso dalla Pro loco, che mira a conservare la semenza e a incrementare ogni anno la produzione dell’oro rosso della Laga: un mais che racconta le tradizioni di un passato lontano, quando l’otto file era la coltivazione principale nella zona. Nel dopoguerra, infatti, con l’arrivo del mais americano dalla resa più remunerativa, il granoturco antico fu abbandonato, ma la lungimiranza di chi lo ha lasciato in quel cassetto, tra i ricordi e qualche ragnatela, in una sorta di testamento, ha permesso di tornare a quando la semina e la raccolta erano una festa e di coinvolgere la comunità con lo stesso spirito e la stessa passione di allora. E così nasce il progetto di recupero e salvaguardia delle biodiversità, della cultura contadina e del folclore con annesso recupero dei terreni incolti salvaguardando il seme e le molteplici proprietà coltivato secondo i metodi antichi: semina e raccolta a mano, essiccazione al sole e macinazione a pietra naturale, tra ricerca e memorie storiche del paese raccontando aneddoti e storie tramandate da generazioni come le feste da ballo dopo la sgranatura, le trecce di pannocchie appese fuori dalle porte delle case come abbellimento e portafortuna e le ricette de la pulent d’na vodd.
Solo a Pagliaroli (e montagna) per effetto della maggiore concentrazione dei raggi solari e complice la fertilità dei terreni da pascolo, la pianta assume il caratteristico colore arancione scuro che lo differisce dai mais ibridi gialli. Una minaccia, però, sono i cinghiali. Attorno al granoturco antico grazie al il sindaco del Comune di Cortino Marco Tiberii, al responsabile tecnico del progetto di recupero del seme antico, l’agronomo Rinaldo Mauro Di Matteo, al presidente della Proloco di Pagliaroli Enrico Di Carmine, al responsabile tecnico-organizzativo Vincenzo Pallini e ad altri prodotti tipici è nato il marchio d’area “La terra dei briganti” e da nove anni si svolge, con grande successo, la manifestazione gastronomica culturale con degustazione della “polenta del brigante” . Ma per favore non chiamatela sagra.