Trasformare l’economia che uccide in un’economia della vita, in tutte le sue dimensioni. E’ questa la chiamata che papa Francesco rivolge ai giovani economisti riuniti al teatro Lirick di Assisi per l’incontro internazionale di The Economy of Francesco. Dopo un’attesa lunga tre anni, a causa della pandemia, la riunione è stata soprattutto un momento di festa, in primis per lo stesso Pontefice. Sceso dall’elicottero in sedia a rotelle intorno alle 9.30, Francesco si è alzato per poter salutare in piedi la delegazione di bambini delle scuole cittadini, schierata ad accoglierlo. Un unicum anche nel pontificato di questo Papa, che pure alle sorprese e alle innovazioni ci ha abituato. Ma quello che più stupisce, e insieme attrae, è la singolare giustapposizione di temi – economia e pace da un lato e fede in Gesù Cristo dall’altra – che a un primo sguardo potrebbero apparire lontani e che invece i viaggi così ravvicinati del Pontefice ci invitano a considerare più attentamente.
Da un lato, infatti, è un’ottica differente e più profonda quella che emerge dal magistero dispiegato in questi anni da Francesco sull’economia e i suoi addentellati politici, ecologici e sociali. Dall’altro è una visione con accenti nuovi anche il suo insegnamento sul Corpo di Cristo, più volte messo in relazione con i poveri e con le periferie esistenziali dell’esperienza umana. Al punto che, esaminando meglio le questioni, non ultima quella in qualche modo trasversale della salvaguardia del creato con tutte le sue creature, il legame salta agli occhi facilmente. C’è, tra gli altri, un passo della Laudato si’ che può essere assunto a paradigma di questo collegamento.
Economy of Francesco è proprio il movimento giovanile globale che intende coniugare le attività produttive e l’uso delle risorse con la sostenibilità ambientale, la creazione di ricchezza con la necessaria solidarietà che non lascia indietro nessuno, la promozione umana con l’eliminazione della cultura dello scarto, che spesso dai materiali (secondo la mentalità dell’usa e getta) si estende anche alle persone. Il modello della circolarità, attraverso il riutilizzo e il riciclo dei prodotti il più a lungo possibile, non solo riduce al minimo i rifiuti, fonte di inquinamento, ma implica anche e soprattutto condivisione e corresponsabilità.
«Un’altra economia è possibile», è il concetto guida risuonato anche in questi giorni nella città di san Francesco. C’è dunque al fondo di questo nuovo modo di pensare e di agire una forma autenticamente eucaristica, se è vero, come è vero, che il Pane-Corpo di Cristo è sinonimo di comunione con Dio e con gli altri, i «fratelli tutti», come ha ricordato il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei. È in sostanza la mentalità della cura contrapposta a quella dell’indifferenza, l’edificazione della comunità in alternativa all’individualismo assoluto, la cultura dell’incontro al posto dell’elevar muri o fomentare scontri che degenerano poi in vere e proprie guerre. Da Assisi sale dunque la richiesta di una nuova forma eucaristica da dare non solo alle nostre Chiese, ma alla società intera come all’economia, al lavoro come alla politica alle improcrastinabili scelte di sostenibilità ambientale come all’ecologia umana e alla protezione della vita in tutte – davvero tutte – le sue fasi. Mai come in questo caso, si potrebbe dire, Eucaristia fa rima con economia e con tutto ciò che riguarda la grammatica dell’umano. E a proposito di economia, risuona soprattutto l’invito potente di Gesù all’atto della moltiplicazione dei pani: «Date loro voi stessi da mangiare». Brano evangelico che non a caso ha aperto il Congresso eucaristico di Matera. Ma che in fin dei conti è anche programma economico che va fatto proprio da ogni uomo e ogni donna di questo tempo di crisi e di squilibri, che richiedono un impegno straordinario e concretissimo di condivisione fraterna.
Poi ripete “La guerra è contraria alla ragione”. Il Papa esortato i giovani ad “agire come instancabili operatori di pace”, in un’area “insidiata da tanti focolai di instabilità e di guerra, sia nel Medio Oriente, sia in vari Stati del nord Africa, come pure tra diverse etnie o gruppi religiosi e confessionali”. Senza dimenticare “il conflitto ancora irrisolto tra israeliani e palestinesi, con il pericolo di soluzioni non eque e, quindi, foriere di nuove crisi”. La guerra “è un’autentica follia – il monito di Francesco – perché è folle distruggere case, ponti, fabbriche, ospedali, uccidere persone e annientare risorse anziché costruire relazioni umane ed economiche. È una pazzia alla quale non ci possiamo rassegnare: mai la guerra potrà essere scambiata per normalità o accettata come via ineluttabile per regolare divergenze e interessi contrapposti”.
Il fine ultimo di ogni società umana rimane la pace, tanto che si può ribadire che non c’è alternativa alla pace, per nessuno”, spiega il Papa Non c’è alcuna alternativa sensata alla pace, perché la guerra è “il fallimento di ogni progetto umano e divino: basta visitare un paesaggio o una città, teatri di un conflitto, per accorgersi come, a causa dell’odio, il giardino si trasformi in una terra desolata e inospitale e il paradiso terrestre in un inferno”.
“La costruzione della pace, che la Chiesa e ogni istituzione civile devono sempre sentire come priorità, ha come presupposto indispensabile la giustizia”, calpestata “dove sono ignorate le esigenze delle persone e dove gli interessi economici di parte prevalgono sui diritti dei singoli e della comunità” e dalla “cultura dello scarto, che tratta le persone come fossero cose, e che genera e accresce le diseguaglianze” aumentando il divario tra l’abbondanza e la lotta per la sopravvivenza. L’antidoto sono “le innumerevoli opere di carità, di educazione e di formazione attuate dalle comunità cristiane”. “Lasciarsi guidare dalle attese della povera gente”, il criterio per “perseguire il bene comune”, coniato da Giorgio La Pira e fatto proprio dal Santo Padre.