Giovanni Falcone è morto. E’ morto 30 anni fa. E’ morto nella sua Palermo che non lo amava. Il maxi processo, 350 condanne, la folla, gli applausi. Poi l’invidia e la vita cambiò. Scorta fissa. Niente finestre aperte. Niente bagni all’Addaura. Obbligo di comunicare le uscite. Minacce, polemiche, critiche, accuse, Sconfitte. Umiliazioni. Per chi ? Per cosa ? Per sentirsi dire da Leonardo Sciascia che lo facevano per fare carriera ? Giovanni Falcone è morto fra le lamiere di un’auto blindata, ma forse prima.. E’ morto per 1000 chili di tritolo che ha aperto la terra. E’ morto insieme ai compagni Vito Schifani, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo che per dieci anni l’avevano tenuto in vita coi mitra in mano. E’ morto con sua moglie Francesca. E’ morto, Giovanni Falcone ucciso dalla mafia siciliana alle 17,58 del 23 maggio del 1992.
E’ morto a Capaci, la più infame delle stragi consumatasi in cento metri di una autostrada che ha portato all’inferno. Dove mille chili di tritolo hanno sventrano l’asfalto e scagliano in aria uomini, alberi, macchine. E’ morto in un boato enorme, un tuono, come un vulcano che scarica la sua rabbia . In trenta interminabili secondi il cielo rosso di una calda serata che annuncia d’estate è diventato nero. Volano in alto le automobili corazzate, sprofondano in una voragine, spariscono sotto le macerie. E’ la guerra sull’autostrada Trapani-Palermo . I boss di Cosa Nostra cancellano in un attimo il simbolo della lotta alla mafia.
Un massacro “alla libanese” che anticipa di 2 mesi un altro massacro dove muoiono Paolo Borsellino Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina e Vincenzo Fabio Li Muli, per colpire e non lasciare scampo ai due grandi nemici. Una tonnellata di esplosivo, un telecomando, un assassino che preme un tasto. Così la mafia uccidone uno dopo l’altro i due uomini che per dieci anni li avevano offesi, che li avevano disonorati, feriti, braccati, condannati. Alle 17,58 del 23 maggio del 1992 scatta la vendetta della mafia, la vendetta che diventa morte. Ore 17,46 del 23 maggio del 1992 un jet dei servizi segreti proveniente da Roma atterra a Palermo. Sopra c’è il direttore generale degli Affari penali del ministero di Grazia e giustizia. Sotto la sua scorta. Il corteo blindato va verso Palermo. Tutto sembra tranquillo, ma qualcuno sa a che ora è partito Falcone e a che ora arriverà. Dopo 30 anni chi era questo complice non si sa. Un uomo dei “servizi” ? Corre, corre, corre la Croma seguita da altre due Croma. Un minuto, due minuti, la campagna siciliana, l’autostrada, l’aeroporto che si allontana, quattro minuti, cinque minuti. Lo svincolo per Capaci è vicino . Gli ulivi garriscono al vento sotto i colpi di vento. Il mare è increspato. Ecco, sono quasi le 17,58. Intorno, da qualche parte, c’è l’assassino, ci sono gli assassini che aspettano Giovanni Falcone. Sono le 17,58 quando la mafia compie la sua vendetta. Una fiammata poi un boato… forse prima il boato e poi il fumo nero. Ore 17,58 di 30 anni fa, è l’ora del massacro, l’ora dell’infamia, dell’orrore, della morte.