Due vite diverse, a tratti forse opposte per colore politico e ideali, ma tragicamente unite, intrecciate nella morsa della morte per mano criminale: Aldo Moro e Peppino Impastato hanno perso la vita il 9 maggio 1978. Non mi sembra possibile. Ma è così. Invitato da un liceo di Pescara a parlare di Moro e Impastato mi accorgo che delle vicende legate al periodo chiamato “anni di piombo”, i ragazzi non sanno nulla. Eppure tra il 1970 e il 1990 hanno determinato – fra vittime individuali, stragi terroristiche e violenza politica – 828 morti e oltre 4000 feriti. Eppure è un periodo della nostra storia recente rimossa, per motivi di pigrizia culturale e di indifferenza. Eppure, i 16.615 attentati compiuti (Sergio Zavoli “La notte della Repubblica” ed.2009) sono la riprova di un disegno eversivo che ha minacciato e colpito drammaticamente la nostra democrazia.
9 maggio 1978, il cadavere di Aldo Moro (rapito il 16 marzo) viene ritrovato nel cuore di Roma. A distanza di 44 anni la Commissione d’inchiesta parlamentare ha riscritto la verità storica sul caso Moro, superando la tesi ufficiale che voleva le Brigate Rosse come unico responsabile della morte del Presidente della Dc e degli uomini della sua scorta. Quello che traccia la Commissione è un quadro a tinte fosche, che chiama in causa numerosi soggetti: dai servizi segreti deviati italiani, alla criminalità organizzata, fino alle agenzie d’informazione internazionali. Il manipolo di bestie assassine, la bassa manovalanza, la monnezza di utili idioti, è brigatista. Ma dietro queste bestie chi c’è ? A più di quarant’anni dai fatti, alcuni aspetti del sequestro non sono ancora stati chiariti. Anzi, l’ultima commissione parlamentare d’inchiesta nella sua relazione finale ha sostenuto in modo chiaro e inequivocabile che “…quella che conosciamo è una verità di comodo”. Una versione ”dicibile”. Quello che si può raccontare. Comoda sia per lo Stato che per i brigatisti. Documenti alla mano, si è scoperto che le BR sono state solo comprimarie nel “caso Moro”. Questo non riduce le loro responsabilità, anzi le aumenta. Perché oltre ad essere criminali, bastardi, sono anche bugiardi. Come tutti i traditori. Solo monnezza. Dei venduti senza dignità. Ma , così, ancora oggi, la verità è schiacciata da una montagna di dubbi. E’ ormai certo che in Via Fani, insieme alle Brigate Rosse, vi fossero elementi dei servizi segreti deviati dello Stato che dettero appuntamento ai brigatisti, che segnalarono l’arrivo dell’auto di Moro, che si allontanarono con loro. Poi c’erano uomini della mafia romana (Banda della Magliana) . Ma non solo, c’era un agente del kgb russo che ha sempre asserito di essere passato li “per caso”, e uomini dei servizi segreti americani, che avevano interesse, per lo meno, a creare caos in Italia e impedire un asse DC-PCI. Oltre a questo è emerso che in via Fani vi erano almeno due persone che parlavano in tedesco, è stato, infatti, più volte ripetuto il termine “Achtung”. Non è chiaro però se fossero tra i terroristi o agenti dei servizi. La Commissione scrive che è logico “…Pensare che a Roma ci fosse un tavolo in cui diversi soggetti, dalla Baader Meinhof, alla CIA e al KGB, si sedevano e mettevano in moto una strategia non è, diciamo, un po’ fuorviante”. Nel 1978 KGB e CIA, i servizi segreti sovietici e americani, si sparavano in tutto il Mondo. Invece in Italia convergono sulla necessità di eliminare Moro per obiettivi diversi. Pier Paolo Pasolini, Ilaria Alpi, il Golpe Borghese, Sindona, Calvi, il caso IOR, la svendita dell’Italia sul Britannia, la stazione di Bologna, fino a Falcone e Borsellino. Misteri su misteri.
Quando il 29 maggio del 1979 vengono arrestati i fidanzati delle Brigate Rosse, cioè Valerio Morucci e Adriana Faranda, nella casa di uno dei più importanti agenti del KGB italiano, il professore universitario Giorgio Dario Conforto, in quella casa si trova carta intestata dello Ior di Marcinkus. Noi scopriamo che Marcinkus, oltre ad essere un vescovo a capo dello IOR, è anche un’agente della CIA. In quella casa c’erano la CIA, il KGB e lo IOR. Bisogna tenere presente che l’arresto Morucci – Faranda non è un arresto, la coppia si è consegnata alla Digos per paura che Moretti li uccidesse. E si sono consegnati tramite l’autosalone (AutoCia) che era degli uomini della Banda della Magliana.
L’omicidio che lacerò la fragile democrazia italiana è ancora un nervo scoperto della storia patria, e più si tenta di rimuoverlo più lo strappo si allarga, la ferita sanguina. Potevano quattro monnezzari, quattro poveracci invasati, quattro assassini da agguati alle spalle, terroristi casalinghi alla buona, compiere un massacro di assoluta precisione militare, condotto con estrema freddezza, senza sfiorare il presidente della Dc? Gestire il rapimento in una città blindata ? O almeno così sembrava. Che cosa accadde davvero nei quasi due mesi della prigionia del leader politico? Lo cercavano sul serio, oppure si evitò accuratamente di trovarlo? Quanti ne temevano il ritorno? Ancora: rispetto all’uccisione di Moro, i rilievi del Ris Carabinieri fatti di recente dicono che non è possibile che sia stato ammazzato come hanno sempre raccontato i brigatisti, nel bagagliaio della Renault 4, perché il garage dove l’auto si trovava era così piccolo che non si poteva nemmeno aprire del tutto il portellone. La Commissione conclude che non è trattato solo di disattenzione, ma che negli apparati dello Stato qualcuno non ha voluto vedere. Monnezzari, ma mafiosi, come bassa manovalanza. Servizi deviati. Depistaggi. Processi farsa. Falsi pentiti. Occultamento delle prove. Tanti che cercano ma nessuno che trova quello che era davanti agli occhi. Cambia solo la data. Ma la storia si ripete. Aldo Moro, come Paolo Borsellino, come tanti servitori dello Stato vittime del terrorismo, stanno ancora aspettando la verità. Un momento importante perché questi episodi obbligano ancora a riflettere, obbligano ad un viaggio nella memoria collettiva: l’inizio di una tragedia nazionale. Un dramma che pesa sulla biografia dell’Italia.