La lettura che la chiesa cattolica propone nella prima domenica dopo la Pasqua è conosciuta con il titolo di “incredulità di Tommaso”, ed è certamente uno dei brani più conosciuti e rappresentati della letteratura evangelica – uno su tutti il magnifico dipinto del Caravaggio in foto – Il dubbio, l’incredulità, ci abita tutti. Tommaso era chiamato “Didimo”, che vuol dire “gemello”. Non sappiamo di chi, ma possiamo considerarlo gemello di tutti noi. Gemello di chi fa fatica a credere. Di chi dubita. Di chi vuol vedere, vuol toccare. Di chi continua a farsi domande. Di chi si sente spesso in crisi. Anche noi come Tommaso siamo esigenti, vogliamo delle prove concrete. Pretendiamo di imprigionare Dio negli spazi dei nostri ragionamenti. Anche noi qualche volta ci lasciamo prendere dal bisogno di miracoli, di prodigi, di visioni.
Il Vangelo ci ricorda che non esiste la fede senza il dubbio. Il credere non è una semplice operazione intellettuale. Credere non è come ammettere il teorema di Pitagora. Non è come constatare che due più due uguale a quattro. Credere è un atto d’amore, un fidarsi, una scelta di vita libera e gratuita. Credere non vuol dire “credere in” cioè in una dottrina in un dogma. Credere invece vuol dire “credere a” cioè credere ad una persona, a Cristo, a Dio. Vuol dire avere fiducia, fidarsi di qualcuno. Mi fido di quello che ha detto e fatto Gesù di Nazareth. Mi affido a Dio. Vedere è abbastanza facile. Credere, fidarsi, non sempre ci riusciamo. Tanti hanno visto il Cristo in croce. Pochi hanno creduto. Credere, ne siamo tutti coscienti, non è semplice. Anzi spesso è molto difficile. Ma a credere si impara. Come Tommaso. Il percorso della fede è come il cammino della vita. Ogni giorno ha bisogno di ricaricarsi di rinnovarsi. Anche noi come Tommaso dobbiamo imparare a passare dal “vedere” al “credere”. “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto”.
Anche Giovanni come Paolo ribadiscono più volte che Gesù è venuto per insegnarci a vivere. Il “credere” non ci rende la vita più facile o più comoda. La fede non spiega il mistero del male, del dolore, della morte e nemmeno del Coronavirus. Tuttavia la fede ci aiuta ad entrare nel mistero della vita. Ci aiuta ad affrontare le domande difficili della vita. Chi sono? Che ci sto a fare qui? Qual è il senso della mia vita? Ma come ci ha ricordato papa Francesco, nei drammi della vita: “non ci si salva da soli, ma assieme”. Così anche per la fede. Non si crede da soli, ma insieme, in comunità. Tommaso la pensa diversamente dagli altri discepoli. Tuttavia non se ne va. Ha il coraggio di confrontarsi. E nessuno della comunità lo caccia via per le sue opinioni. È la comunità che dovrebbe diventare il luogo dell’incontro, del confronto, dell’accoglienza, del rispetto, dell’aiuto reciproco. Un’espressione, questa, che è divenuta di uso comune quando si intende manifestare una posizione di scetticismo. Lo scettico non è proprio un non credente, è un incredulo, più che altro uno che “non si fida”.
Sorprende profondamente scoprire che i primi scettici della storia del cristianesimo sono stati proprio i discepoli più vicini a Gesù, gli apostoli! Quando Maria di Màgdala torna dal sepolcro e annuncia loro di aver visto il Signore risorto, non viene creduta; quando due discepoli in viaggio, tornando danno la stessa testimonianza, neanche loro vengono creduti; e Tommaso non crede neanche agli altri suoi compagni apostoli, ai quali Gesù è apparso chiaramente e con prove evidenti. A lui non basta addirittura neanche vederlo con i propri occhi: per credere deve letteralmente “mettere il dito nella piaga”. Se è stato tanto difficile per loro credere, figurarsi per noi! Questo però non deve scoraggiarci.
Per questo anche noi come i compagni di Tommaso abbiamo o dovremmo avere condiscendenza per chi dubita della resurrezione. E tanti sono i cristiani che dubitano. Dovremmo avere condiscendenza anche perché alle volte le persone hanno ricevuto un annuncio, come dicevo, con cose non dette nella Bibbia. Ed anche perché senza speranza di vita dopo la morte certo si è nel fondo dell’animo disperati. A che vale la tua fede? Allora si ha bisogno di annuncio e non di giudizio. In questi giorni accostiamoci al Vangelo, e sperimentiamo la pace che solo il Signore può donarci, quella pace del cuore che sgorga dall’amore misericordioso del Padre, che ci consola e ci spinge con entusiasmo a portare a tutti l’annuncio gioioso di una nuova vita possibile per tutti, più semplice e caritatevole, più ordinata e fruttuosa di bene, più umile e ricca di misericordia. Riconoscendo che l’ultimo passo della ragione è riconoscere che c’è una infinità di cose che la superano.