Purtroppo ce lo ricordiamo solo in occasione dei grandi boati quando celebriamo il lutto di tante stragi con gli occhi gonfi di lacrime per le vite stroncate, strappate ai sogni e inghiottite dalla terra, Perché il dolore degli altri è sempre un dolore a metà.  Bisognerebbe avere il coraggio di dire “basta con questi terremotati”. “Ma quanto ci costano” . E smettetela con questa farsa. Basta perdere tempo. Basta far finta che interessi a qualcuno. Ora c’è il covid,  e c’è pure una guerra lontana che ci obbliga a far finta di essere buoni mentre finanziamo con i soldi nostri le armi che uccidono i bambini e massacrano gli anziani a Bucha.  Dai su, chiodo scaccia chiodo. Chi rimane con il cerino in mano non si ingrugni. Pazienza.  13 anni sono tanti per ricordare. Anche per chi come me a L’Aquila ha vissuto. Poi tra  i sette milioni di italiani  che non arrivano a fine mese, i pensionati da 1000 euro al mese che ricevono bollette da 900 euro, tra i  tanti poveri, diseredati, miserabili a cui non pensa nessuno, ora basta con i terremotati.  Diciamolo su, chi non ha vissuto quel dolore, i culi sempre parati, quelli che gli spari sono sempre sopra, quelli con la  giacca e cravatta sempre ben stirata e la camicia mai sudata, quelli, dai, quelli che stanno sempre sul carro, quelli sempre dalla parte giusta, dai su, quelli  con i calli alle ginocchia, non gliene fregava prima e non gliene frega niente oggi alle porte del 6 aprile 2022.  E vero, tanti anni sono passati. Il dolore non si spegne ma la rabbia si affievolisce.. Qualche Sindaco ogni tanto si sveglia e batte il pugno sul tavolo. Per un minuto qualcuno si arrabbia, poi passa. Tutti lo sanno. Un pò di sceneggiata per far vedere, ma la fascia – dunque lo stipendio – non se la toglierà nessuno. Tutti o sanno. I terremotati sono gli unici che ricordano. E stapposto così.  Certo è una beffa incredibile per una popolazione che ha dovuto sopportare oltre 100mila scosse e avrebbe bisogno di risposte. Da tempo non più rinviabili da parte dello Stato. I danni del 2009 si sommano a quelli del 2016. I 309 rintocchi di questa notte si sommano ai problemi di chi vive ancora nelle casette “temporanee permanenti”. I tempi biblici della ricostruzione, sommati a una burocrazia che avanza a passi di bradipo e che non facilita il cittadino a rimanere e a investire, stanno portando molte persone ad abbandonare L’Aquila. Purtroppo! Ogni volta che ci vado è un pugno al cuore. Io che ci ho vissuto anni stupendi non lo sopporto. Vederla così è troppo doloroso.

Siamo al tredicesimo anniversario del sisma che nel 2009 ha devastato il territorio del Comune dell’Aquila (e di altri 50 comuni limitrofi), causando la perdita di 309 vite umane. Anche in questa ricorrenza  ci saranno le consuete iniziative, i consueti momenti di commemorazione, la consueta riflessione e il consueto omaggio alle vittime. Questa sera alle 21  nell’area antistante il tribunale, in via XX Settembre partirà il consueto corteo. Io come sempre ci sarò.  Si accenderà il consueto “braciere della memoria” fino al parco della Memoria.  La verità è che, mentre risuonano i rintocchi a ricordare chi non ce l’ha fatta  il pensiero va anche ai sentimenti degli aquilani che, 13 anni dopo, convivono con un dolore costante, come costante è il ricordo di chi se n’è andato.  La verità è che non si può raccontare quanto cambia la vita dopo un avvenimento disastroso  e drammatico  come quello del sisma che, la notte del 6 aprile 2009, ha colpito L’Aquila. Fare la lista dei cambiamenti subiti e delle difficoltà affrontate sarebbe inutile, banale ed anche impossibile.  Lungo il corteo ancora una volta vedrò che , tredici anni dopo, una porta si apre ancora su un soggiorno, coperto di macerie. E un mobiletto da bagno resiste su un brandello di muro di fronte a quel Palazzo del Governo, che con la sua scritta spezzata divenne il simbolo della ferita.  Tredici anni dopo, superò delle transenne, rivedrò quei luoghi, sentirò il dolore che batte . E tornerò indietro alla notte del 6 aprile 2009. Ore 3,32. A quella devastante scossa, che schiacciò 309 vite, lasciò 80mila persone senza casa e rase al suo interi borghi dell’Abruzzo. Comunque lo si provi a chiamare, c’è sempre stato un filo conduttore a legare le storie, le persone, le situazioni di chi è stato travolto dal terremoto quella notte:  quello di un dolore di cui ognuno ha sentito il peso. Con le spalle diventate sempre più pesanti, quando è arrivata la lucida consapevolezza di quanto accaduto tutt’intorno.

Tredici anni dopo, il ritorno a L’Aquila è un viaggio in un’emergenza ancora aperta e in una ricostruzione a velocità diverse. Da un lato quella privata, dall’ altro quella pubblica; da un lato il centro storico, dall’altro vicoli e frazioni. Così palazzi restaurati, splendidi nei loro ritrovati decori barocchi, convivono con edifici, ancora ingabbiati in corazze di tubi, o con case, ancora pregne delle loro macerie. E il centro fatica a ritrovare la sua anima. Tredici anni dopo. Ognuno ormai, dopo il terremoto, sembra vivere chiuso nel suo piccolo circuito. E intorno a L’Aquila si è creata come una galassia di piccoli nuclei sparsi. Che al massimo si ricompongono in qualche centro commerciale. Più o meno lentamente, la ricostruzione all’Aquila sta procedendo. Ma ricostruire una città non significa solo ristrutturare gli edifici, ma programmare spazi per rendere possibile la rinascita il tessuto sociale, ricostruire in maniera sostenibile un contesto economico, e questo non è stato fatto Un “provvisorio a tempo indeterminato”, ecco come  definire bene la situazione aquilana.