La sua forza è la nostra debolezza. Abbiamo paura. E lui lo sa. Temiamo per grano, olio e gas. E lui lo sa. E’ come la belva: lo sa. La sente la nostra paura. E gioca le sue carte contando più sulla nostra debolezza che sulla sua forza. Una debolezza politica, economica, energetica e militare. Dimostrata ancora una volta ieri, con l’Europa prona, a tratti ginocchioni, davanti al presidente americano che serviva le carte da giocare. Da un lato c’è un Paese, la Russia, con un capo duro, spietato, ex capo del kgb e ancora oggi despota assoluto, disposto a giocarsi tutto, indifferente alla sofferenza di due popoli. Un dittatore che persegue un suo obbiettivo. Dall’altra ci sono tanti Paesi europei con obbiettivi diversi. Vladimir Putin è stato finora sempre un passo avanti agli altri in questa crisi. In questo primo mese di guerra ha dettato giorno dopo giorno il calendario e le mosse dell’escalation, in un mix esplosivo ma controllato tra incontri bilaterali, armi vietate, tavoli diplomatici, missili ipersonici, attacchi cyber, killer ceceni, guerra d’informazione e mobilitazione militare. Una strategia iniziata già da mesi di cui l’offensiva militare è stata solo l’apice. Gli effetti sono evidenti, drammaticamente nudi. La causa, no. Perché non c’è “la” causa, ma una serie di fatti e azioni, non adeguatamente considerati in tempo. Ignorati. Che formano una sequenza che oggi è esplosa in scontro armato. In guerra.

Certo l’incapacità di Putin a gestire difficoltà e problemi interni. Ma anche l’ alimentata esaltazione degli spiriti identitari ucraini da un lato, russofoni dall’altro; la tentazione inarrestabile della Nato di ridurre a omogeneità, sotto un unico ombrello geopolitico e militare, un quadro variegato e complesso; il sostegno a improbabili e imbarazzanti formazioni politiche di chiara matrice nazista; scelte, che ciascuno nei due blocchi furbescamente riteneva vantaggiose per sé. L’Europa pigra, stanca, indifferente,  attanagliata dal virus, che per 8 anni non ha visto, non ha sentito, non si è accorta di niente. Arriva il gas: stapposto. C’è l’olio per le patatine fritte: stapposto. La benzina costa 7 centesimi in meno: stapposto. Tutto ciò costituisce il retroterra della guerra. È quasi sempre avvenuto così nella storia, che sarà anche “maestra di vita”, come diceva Cicerone, ma da cui evidentemente gli uomini non sono capaci di imparare nulla.

Ora, sgomenti, assistiamo in Europa a queste “operazioni militari speciali” – cinico eufemismo, non molto dissimili, per natura e velatura semantica, da quelle poste in essere ventitré anni fa sempre in Europa, dal governo D’Alema nei Paesi dell’ex Jugoslavia – cui fanno ieri da controcanto le vuote perifrasi  “bla bla bla” dei leader europei e statunitensi. Tanto Putin appare deciso – specialità che a tanti e diversi ambienti affascina e intriga –  quanto le nostre voci, quelle delle democrazie occidentali, suonano deboli, divise, incerte, indecise, inconcludenti. L’Europa, o meglio l’Unione Europea è un’entità con un esercito tipo puffi, e con interessi divergenti, se non opposti, tra i vari Paesi. A cominciare dal tema energetico. Putin lo sa Vorremmo aggredirlo ma abbiamo paura. I russi no: loro sono allenati a soffrire e a morire per la Patria. Altra differenza, altra debolezza.. La sensazione di queste ore che si respira in Occidente, è quasi d’impotenza. Questo fa la nostra debolezza, con i Putin di turno,

La speranza è che in questa complessa partita a scacchi, anche l’Occidente sia in grado di spostare l’inerzia della partita con sanzioni vere, dure, determinanti, senza compromessi, che mettano veramente in difficoltà Putin, fino ad obbligarlo a fermarsi. Cominciando con il vietare la attività di società russe sul territorio europeo. Chissenefrega se i mafiosi  russi non occuperanno gli angoli più belli della Sardegna.  Se sono complici di chi massacra i bambini. Chissenefrega  se gli ubriaconi russi non si riverseranno a bere nei bar della romagna. Se sono i complici di chi ammazza gli anziani. Chissenefrega se le puttane russe non occuperanno più le strade e i localacci di Roma. Se sono complici di chi stupra le donne in Ucraina. Come scriveva Mao Zedond  “Il cambiamento non nasce da un pranzo di gala.  Non si può fare con eleganza e delicatezza” . La pace è frutto di una volontà.  Speriamo che l’Europa tutta sappia mettersi in piedi. Anche se in queste ore  drammatiche, questa speranza, ha il gusto amaro di un’illusione.