Il potere dichiara che il giovane arrestato, di nome Gesù, figlio di Giuseppe, è morto perché aveva le mani bucate e i piedi pure. Considerato che faceva il falegname e maneggiando chiodi si procurava spesso degli incidenti sul lavoro. I colpi riportati sopra il corpo non dipendono da flagellazioni, ma da caduta riportata mentre saliva il monte Golgota appesantito da attrezzatura non idonea, e la ferita al petto non proviene da lancia in dotazione alla gendarmeria, ma da tentativo di suicidio. Il detenuto è deceduto perché ostinatamente aveva smesso di respirare malgrado l’ambiente ben ventilato. Più morte naturale di così toccherà solo a tal Stefano Cucchi quasi coetaneo del su menzionato.
Per la “festa della donna” Ilaria Cucchi e Fabio Anselmo tornano a Teramo, Pescara e Montesilvano per incontrare gli studenti con il Premio Borsellino tutto l’anno, e presentare il nuovo libro: “Stefano, una lezione di giustizia”. Chi vorrà potrà ascoltarla in una lunga intervista anche sull’emittente teramana R+News.
Dopo anni e anni di battaglia giudiziaria condotta con tanto coraggio e tanto amore, Ilaria Cucchi e Fabio Anselmo hanno obbligato il Tribunale di Roma ha dire che fu omicidio. Omicidio. Stefano fu ucciso. Da uomini che disonorando la divisa si sono accaniti su un corpo martoriato, con calci e pugni, fino ad ucciderlo. Per farlo è stato necessario tanto coraggio e tanto amore. E’ stato necessario sopportare menzogne, depistaggi, offese, illazioni, anni e anni di processi che ogni volta riaprivano una ferita mai chiusa. Per farlo è stato necessario tanto coraggio e tanto amore. Lo sapevamo, da tempo. L’ho scritto decine di volte. Tanti si sono mobilitati. E’ stato necessario un film. E’ stato utile Fazio, Vespa, e persino Mara Venier. Ma a questa sentenza dello Stato contro una parte dello Stato non si sarebbe mai arrivati se non ci fosse stato da parte di Ilaria e Fabio tanto coraggio e tanto amore che si sono battuti per avere giustizia per Stefano. E dunque per tutti noi. Per tutti questi lunghi anni la famiglia, Rita, Giovanni, Ilaria e Fabio Anselmo, hanno cercato instancabilmente di dimostrare che a determinarne il decesso fu il pestaggio, feroce, che aveva subito. Oggi c’è una sentenza. Lo Stato ha scritto che in Italia la legalità costituzionale, che comprende in sé il diritto all’inviolabilità della integrità psico-fisica , e dunque il diritto a non essere maltrattati e torturati, non si ferma sulla soglia di una caserma dei carabinieri. Dobbiamo dirle tutti grazie. Graie per il suo coraggio e il suo grande amore . Le istituzioni italiane, e noi tutti dobbiamo molto a Ilaria Cucchi, a Fabio Anselmo e ai suoi genitori. Senza la loro caparbietà, senza il loro infinito dolore, senza la fatica instancabile di Ilaria e Fabio, capaci di fare da muro contro calunniatori e miserabili anonimi aggressori, e senza la strategia, di certo “non difensiva”, Stefano Cucchi sarebbe stato uno dei tanti senza nome, e dei tanti senza storia, che sono morti nelle mani dello Stato, torturati in carcere dallo Stato. Lui invece ha un nome, ha un volto, ha un’anima, ha una storia ed ha avuto una parziale giustizia. Grazie a Ilaria e a chi, con lei, ha lottato stoicamente per la giustizia e la verità.
Ha ragione il generale dei carabinieri Nistri: “il dolore di Stefano è il dolore di tutti”. Il dolore di Stefano, il dolore di Ilaria è il dolore di tutti noi deve essere il dolore di chi rappresenta le istituzioni, le quali non devono mai sottrarsi alla giustizia. È lo Stato democratico che viene ferito quando la legalità si ferma su un portone. E’ lo Stato – se c’è – che deve intervenire se dei servizi deviati fanno saltare in aria la macchina di un magistrato e della scorta. E’ lo Stato, quello vero, che deve intervenire per affermare la verità se dei traditori di stato depistano, mentono. Per Stefano Cucchi conosciamo nomi e cognomi e lo dobbiamo ad una ragazza. Al suo coraggio ed al suo amore. Non dimentichiamolo. E diciamole grazie.