Oggi tornano in piazza gli studenti italiani. Dopo il 18 febbraio sciopereranno per chiedere un altro modello di scuola. Le rivendicazioni dei giovani sono chiare: abolire i cosiddetti Pcto, l’ex alternanza scuola-lavoro introdotta dalla “Buona Scuola”; dare maggiore rilievo alla salute; coinvolgere i giovani nelle scelte che li riguardano, prima fra tutti l’esame di maturità, modificato all’ultimo dal ministro Bianchi, nonostante il parere contrario del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione. Ma ancora, si punta il dito ad un’edilizia scolastica descritta come “pericolante e pericolosa” da chi vive la scuola tutti i giorni, anche dal punto di vista pandemico. . Ciò che oggi gli studenti contestano è il significato di “orientamento” e di “vita” alla quale dovrebbero essere “accompagnati”. È uno scontro vero, duro, sostanziale, di natura etico-politica, dunque. Ovvio, lo sappiamo, non per tutti. Per i più è solo fare “cuppo”. E’ da sempre così.
Ma molti giovani avvertono che se nel peggiore dei casi si muore, e nel migliore si rimane precari a vita», il significato dei “Pcto” indicato da Bianchi assume un significato inquietante. I “Pcto”, obbligatori per il triennio delle superiori e condizione per accedere alla maturità, non è “un avviamento al lavoro”. Infatti è una forma di disciplinamento dello studente in quanto manodopera, che dovrebbe farsi concava e convessa, e adeguarsi a un’idea astratta di mercato del lavoro. Insomma è una chiara subalternità dell’istruzione ai valori dell’impresa.
Questo sistema non va bene, gli studenti, alcuni studenti (gli idioti, cammelloni, nullafacenti, viziati, a parte,) vogliono un “altro modello di scuola”, opposto a quello dell’aziendalizzazione della scuola pubblica che sappia educare al pensiero critico e non alla riproduzione continua di nozioni. Alcuni studenti, non tutti, vogliono una scuola che formi coscienze, non lavoratori precari. È il problema che questo governo, non diversamente da altri, non sembra volere considerare. E come potrebbe: la mentalità di chi lo dirige, e della classe dirigente di cui è l’espressione, è nata negli anni del realismo capitalista. Gli studenti, invece, appartengono alla o terza generazione che inizia a comprendere le conseguenze di essere considerati “capitale umano” e, in più, destinati allo sfruttamento. “Le nostre vite valgono più del vostro profitto” diceva un cartello dell’ultima manifestazione. E io sto con loro perché, è vero, le loro vite valgono più del profitto.
Questi ragazzi, alcuni di loro, chiedono un ripensamento della formazione al lavoro e chiedono sicurezza per non morire “di scuola”. Pochi lo avvertono ma questo è il problema enorme: la sicurezza manca anche nel mercato del lavoro dove muoiono tre persone al giorno, in media. Ma queste morti generazionali meritano un solenne lutto sociale, una elaborazione collettiva dell’abisso scavato attorno a noi. Non meritano le stucchevoli omelie della politica, le consuete giaculatorie che sono insopportabili soprattutto se servono a occultare la verità che il movimento degli studenti sta cercando di raccontare. La verità è che lo Stato affida un pezzo di gioventù a un circuito costruito su un campo minato, sottrae studenti alla scuola e li paracaduta nei cantieri, in territori produttivi che spesso trasformano l’offerta formativa in un apprendimento passivo, subalterno agli interessi aziendali, privo di un corredo di cultura generale. Insomma l’alternanza è una forma di “lavoro anticipato”. Il lavoro come tirocinio al lavoro. E dunque si impara il lavoro lavorando, ma al prezzo di una perdita grave del tempo condiviso con i compagni di scuola, non godendo delle gioie di un sapere più lungo e più largo del perimetro di un qualunque luogo di lavoro. Diciamo che l’alternanza è una sperimentazione sociale che apre una crepa grave nella scuola, nella grande fabbrica del nostro essere sociale, nel suo cruciale compito di formare cittadini prima ancora che di sfornare lavoratori.
Tutto nel nome di una modernizzazione di cartapesta ci si dimentica dell’essenziale: e cioè che il processo di socializzazione, la costruzione di legami amicali, la disponibilità di tempo per la propria crescita culturale, sono tutti ingredienti centrali della missione educativa della scuola. Si straparla di “cittadini di domani”, e non si vede quanto è difficile essere cittadini oggi, che cosa è oggi la scuola, cosa sono questi studenti che denunciano, con parole antiche e attuali, i risvolti della scuola che si aziendalizza, che dicono del loro disagio esistenziale. Spesso vissuto in solitudine.