Tanto tuonò che piovve. Sono le 20,38 a Mosca. Vladimir Putin riconosce le due zone separatiste del Donbass. Firma un decreto davanti alle telecamere della tv di Stato. Poi, ordina alle forze armate russe di schierarsi in quella zona dell’Ucraina controllata dai ribelli filo-russi. Dice di voler “mantenere la pace”. Ma la decisione è un altro passo verso la guerra. L’escalation verbale, seguita a quella militare, alla frontiera ucraina non poteva prolungarsi oltre. Il lavorio diplomatico non aveva più nulla da proporre.

Lo Zar in diretta mondiale tv dice che il Paese confinante è diventato un fantoccio dell’Occidente. Ed è vero. Dice che l’intento americano è attaccare la Russia. Ed è vero, Biden in forte crisi di consensi nel suo paese fa l’“interventista” come fece Kennedy con Cuba e come fece Bush con l’Iraq.  Dice che è un paese corrotto, pilotato dall’estero e nelle mani di bande neofasciste. Dice che la popolazione del Donbass viene repressa dagli Ucraini fino al genocidio nel totale silenzio. Vietata la lingua russa. Vietate le tradizioni russe. Vietati dagli ultra nazionalisti ucraini  i Santi ordodossi ed i costumi tipici di mille anni di storia. Dice che il governo di Kiev non tutela adeguatamente i cittadini che hanno legami e guardano a Mosca. Dice che l’Ucraina – granaio del mondo, è alla fame piegato dalla corruzione. Ed è vero. Dice che i cittadini, finalmente liberi di scegliere, fuggiranno dal Donbass verso la Russia, scegliendo di diventare profughi piuttosto che morire di fame. E comunque l’annuncio del presidente russo Putin è un grave errore, un’avventura foriera di nuova guerra. Perché se legittimamente si difendono le ragioni del popolo russo, non è la risposta asimmetrica all’arroganza altrui, della Nato e degli Usa, la soluzione. Tra gli Stati uniti, impegnati nella vittoria definitiva post-guerra fredda contro il nemico sovietico – che non c’è più – e la Russia che ascolta le voci del popolo martoriato filo russo ucraino, solo la diplomazia poteva salvaguardare la pace. Invece le diplomazie hanno fatto a chi ce l’ha più duro e il processo è arrivato a compimento. Sul baratro.

In Italia è tutto un commento. Ma nessuno spiega in occidente perché, in queste ore, dal Donbass in guerra arrivano scene di giubilo popolare. Come mai? Come mai la popolazione è scesa in strada con le bandiere russe e per una notte i botti dei fuochi d’artificio si sono sostituiti a quelli dei fucili. Come mai? Quello che i governi, e i mass media occidentali asserviti all’America non dicono è che nel 2014 in Ucraina si verificò la cosiddetta “rivoluzione arancione”. Una rivoluzione tradita che sottrasse il potere ai filo-russi. E da allora il Donbass è entrato in guerra per l’indipendenza e la riannessione a Mosca: una guerra che in otto anni ha provocato – nel più totale silenzio e nella completa indifferenza- oltre 25.000 vittime e 2 milioni di sfollati. Paradossalmente, quella che nel resto del mondo viene letta come la notizia che segna il possibile scoppio di una guerra pericolosissima, nel Donbass stesso, viene invece vista dal popolo come la cosa più vicina alla pace. Almeno la pace conosciuta negli ultimi anni. Chi avrà ragione lo scriverà la storia nelle prossime settimane.

Giornali e televisioni – soprattutto italiane – hanno continuato ad accusare la Russia del crimine di voler stabilire una sua zona d’influenza in Europa, mentre nessuno si era preoccupato quando alla vigilia del Duemila dei compassati signori negli Stati Uniti volevano portare la libertà in tutte le zone produttrici di petrolio, e instaurare “il nuovo secolo americano” estendendo la zona di influenza e la sovranità americana su tutto il mondo.

Si tratta del solito risiko truccato in Europa, dove vince sempre l’America. Per se stessa. Contro l’Europa. Mentre l’Unione europea è subalterna perché senza una politica estera, surrogata dall’Alleanza atlantica. La bella notizia è che per ora la terza guerra mondiale non è scoppiata, e oggi siamo ancora qui, non inceneriti, a raccontarlo; ma la cattiva notizia è che siamo in mano a degli irresponsabili che sono al comando delle nazioni, e a dei garruli informatori che ignorano il senso delle loro parole. E tutti insieme rendono di giorno in giorno più precario il nostro futuro e la nostra vita. Se una conclusione da tutto ciò si può trarre è che una grande riforma si deve fare sul modo di stare sulla Terra, e che bisogna passare dal diritto sovrano e discrezionale degli Stati alla guerra, al diritto collettivo e indisponibile dei popoli alla pace.