Senza nemmeno la maschera drammatica di una Gloria Swanson sul viale del tramonto, ma piuttosto con i toni di una farsa degna dei fratelli Vanzina, alla fine i partiti hanno gettato la spugna, rinunciando alla folle, incredibile, corsa verso il Quirinale con la loro bandiera. Quando i capi bastone hanno fatto proprio il concetto che provo ad esprimere da 10 giorni, hanno barattano 7 anni di presidenza con sette mesi di stipendio. Almeno 500 peones non avrebbero mai votato una soluzione che poteva rischiare di mandare Draghi a casa. E loro con lui.

Il Mattarella bis è una sconfitta. Ma anche una liberazione, innanzitutto per il paese, che non meritava di essere intrattenuto da questa sceneggiata, tenuto sulla corda con sbrindellate riunioni  da “Checco er zozzone” , poco consone a una decisione così importante, come dovrebbe essere l’elezione del Presidente della Repubblica.  Con generali in disarmo e i colonnelli a guardarsi le spalle l’un contro l’altro armati . Fino all’attesa parola d’ordine rimbalzata tra i vari capipartito: Draghi resti al suo posto .

Supermario, l enfant prodige, dai discutibili risultati  on una legge di Bilancio iniqua, incerta gestione della pandemia, enorme crescita della precarietà e della disoccupazione, specialmente femminile, grottesca (ancora il nucleare?) politica ambientale. Ma ora che il più è fatto e che chiunque, anche un Avatar, anche un pilota automatico, avrebbe potuto proseguire nell’attuazione del programma già definito (parole di Draghi), ora che tutto era  dunque pronto per la corona presidenziale. Ecco l’intoppo ineludibile: il peones.  L’alzamano. L’inutile con il pensiero abraso. Con buona pace delle strutture economiche europee e quelle finanziarie (“i mercati”), le stesse che hanno catapultato Draghi a palazzo Chigi

Nella “democrazia dei ricchi” – come la chiama il mio amico Luciano Canfora – interessa a pochi l’affanno della società che si è aggravato: la smisurata, accresciuta dimensione del lavoro precario, l’abbandono dei giovani e delle donne alla disoccupazione (privati dunque dello stesso diritto di cittadinanza), l’esponenziale crescita della povertà, la crisi del commercio, la morte lenta dell’artigianato, le delocalizzazioni selvagge.

Oltretutto il disinteresse, e il solco che separa la società dalle istituzioni (alle elezioni amministrative di ottobre più della metà dei votanti delle grandi città è rimasto a casa), è determinato dall’aver ridotto un tema davvero importante, come la figura del nuovo Capo dello Stato, a un balletto politico, a una lotteria di nomi. Uno strumentale e spesso fittizio gioco di Palazzo, con un prevalente interesse partitico quando altri argomenti dovrebbero invece nobilitare un appuntamento di fondamentale rilevanza per il futuro dell’Italia.

Il Quirinale è  – dovrebbe essere – la casa di tutti e non doveva essere ridotta a rissa mediatica di bassa lega.  Così L’operazione ‘salviamo il salvabile’ è partita.  “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi” dice  Tancredi, un personaggio del libro Il Gattopardo (1958) di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Ma i “nostri” peones, neo tancrediani  gattopardiani, sono andati oltre e per conservare potere e privilegi e pensione, parafrasando  hanno detto “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto rimanga com’è” .

Ha ragione la Meloni “Hanno barattano 7 anni di presidenza con sette mesi di stipendio”.  E bello non è. Certo, dopo bluff e controbluff, intese siglate e smentite, carte svelate e carte coperte, almeno ad abitare il Quirinale resta una personalità che garantisce, tutela e promuove l’unità nazionale e ha voce autorevole. Certo resta un governo credibile, per non sciupare i sacrifici fatti dai cittadini nella lotta al Covid e per non gettare al vento l’opportunità del Pnrr. Certo il “Dream team” Mattarella-Draghi   è una sicurezza rispetto alle sfide interne e internazionali. Ma certo il fallimento di questa soluzione “facile” è clamoroso.  L’incapacità è documentata. Lampante. Dopo questo processo, bizzarro e incauto , il quadro politico è molto più debole, frammentato e incerto. E altre ambiguità ora potrebbero sommarsi alle già poche certezze. Si poteva evitare. L’elezione del capo dello Stato poteva fungere da leva per una più ampia e convinta stagione di responsabilità nazionale. Non è mancato solo un “conclave”. Sono mancate serietà, unità, senso dello Stato, lungimiranza e coraggio. Il Paese meritava più di un gattopardo.