Da quando esiste il Giorno della Memoria , c’è chi sente l’urgenza di comunicare al mondo che “sì, va be’, però… Ma quell’altro fatto è più importante”.  Non parlo di negazionisti e complottisti. Quella è materia per la psichiatria. Parlo di chi si sente vagamente infastidito da questa ricorrenza, chi reagisce leggermente stizzito a queste iniziative, ai programmi e articoli, e chi non può fare a meno di dar voce alla propria contrarietà con ogni genere di osservazioni tendenziose.

Da quando esiste, poi, un megafono social che regala un pubblico a ogni pensiero estemporaneo, e a ogni urlo sconnesso, il 27 gennaio è diventato il Giorno dell’Astio. La memoria è sommersa e soffocata da un continuo brusio di fondo che prende forma definita in una domanda ricorrente, una domanda appesantita da un sottotesto di ostilità e sospetto nei confronti delle vittime: “perché dovremmo ricordarle ?” si chiede Nicola. “E i morti italiani in guerra chi li ricorda ?” dice Tonino  “Che cos’hanno di speciale ?” si chiede Gianni.

Mi piace cullarmi nell’illusione che quando qualcuno fa una domanda è anche in cerca di una risposta. Per questo ho raccolto le osservazioni al “Ruggito” di ieri e rispondo

La Seconda Guerra Mondiale e la Shoah sono stati due eventi concomitanti, ma non sono la stessa cosa: i 6 milioni di vittime della Shoah non sono vittime di guerra (soldati morti in battaglia, civili morti sotto i bombardamenti e in generale persone morte per le conseguenze della guerra); si tratta di 6 milioni di persone schedate, torturate, deportate e assassinate unicamente per la loro origine. Non solo ebrei. Ma anche rom, omosessuali, oppositori politici.
Il fatto poi che in tanti sorga la domanda “Perché gli ebrei? Cosa avevano fatto ?” costituisce la più grande e duratura vittoria del nazismo sulla ragione. Perché 50 anni di propaganda razzista-cospirazionista di stampo populista e pseudoscientifico, dopo un millennio di discriminazioni e persecuzioni di stampo religioso, li avevano resi il nemico pubblico numero uno. Perché chi si aggrappava al potere in un impero al tramonto (la Russia zarista) o chi vendeva sogni di grandezza a un popolo sprofondato nel baratro economico e nel caos politico (quello della Germania tra le due guerre) sapeva bene che la caccia al nemico è la più potente arma di distrazione di massa.

Perché il diverso tra noi – che si tratti di una minoranza pienamente assimilata e integrata, fedele al proprio Paese (gli ebrei tedeschi) o di masse palesemente differenziate dalla cultura dominante (gli ebrei dell’Europa orientale) – è il sospetto ideale, il candidato perfetto al ruolo di nemico. Il nemico interno. Ruolo ancor più facile da attribuirgli se siamo abituati a odiarlo già da mille anni, col permesso della Chiesa. (leggi “Il Ruggito” di Domenica)

“Perché non parli delle cose più attuali? Risponderei con una domanda: che fastidio vi dà se si parla degli ebrei? Se si conosce sempre di più dei cosiddetti “olocausti dimenticati” (come vengono ricordati continuamente nei titoli di giornali e siti ostili alla memoria della Shoah) è perché l’istituzione del Giorno della Memoria ha innescato una catena di iniziative, ricerche, scoperte, convegni, pubblicazioni, creazioni e narrazioni su tutto il contesto in cui è avvenuta la Shoah. Se oggi ricordiamo, studiamo e facciamo conoscere con diversi mezzi lo sterminio di rom e sinti, l’Olocausto e il cosiddetto programma di eutanasia è perché abbiamo cominciato a ricordare, studiare e far conoscere lo sterminio degli ebrei. E se oggi abbiamo qualche mezzo in più e un pò di preparazione per riconoscere i germi del totalitarismo, e magari per intervenire in tempo, è perché ci siamo concentrati sul periodo più nero della nostra storia. Abbiamo aperto il vespaio che non si voleva aprire e abbiamo trovato le vespe. Il ricordo della Shoah riguarda ciò che è avvenuto alla metà del secolo scorso nel cuore dell’Europa. Riguarda l’abisso nel quale è sprofondata l’umanità. Riguarda la facilità di manipolazione delle masse. Riguarda la perdita della coscienza individuale nell’ubriacatura collettiva. Riguarda la distinzione tra il Bene e il Male. Riguarda tutti, in ogni luogo e in ogni epoca. Perché quello che la Germania nazista  ha pianificato e messo in atto – se ancora non è chiaro – era un preciso progetto di sterminio ai danni di diverse minoranze, prima fra tutte quella ebraica.

E chi afferma di rifiutare la memoria della Shoah perché “è schierato da un’altra parte” (quale?) come se si trattasse di tifoserie, è talmente ipocrita da non voler ammettere che il suo rifiuto proviene da una profonda e radicata avversione per le vittime della Shoah. Parlarne è molto importante perché queste cose possono accadere di nuovo. Certo che possono. Sono accadute prima e sono accadute dopo. Già nel 1946, appena un anno dopo la sconfitta del nazismo, in Polonia, negli stessi luoghi della Shoah, nuovi massacri colpiscono le stesse vittime.  Altri luoghi e altri tempi, più vicini a noi, hanno visto altre vittime. Se anche non accade su così larga scala o con la stessa meticolosa e burocratica precisione, non significa che non possa accadere. Proprio mentre proviamo indefinitamente a comprendere ciò che non può essere compreso. Proviamo almeno a scuola dove i giovani ci lasciano sperare in un futuro migliore. A oltre 80 anni dall’emanazione, in Italia, delle “leggi antiebraiche” del 1938, la Shoah potrebbe rivelarsi un argomento centrale per comprendere il nostro recente passato e il tempo in cui viviamo, e risultare estremamente significativo per favorire l’educazione al rispetto, alla convivenza civile e alla cittadinanza attiva. La didattica intorno alla storia e alla memoria della Shoah è tra le sfide più complesse con cui confrontarsi perché mette in gioco competenze e specializzazioni diverse: proviamoci.