Che cosa fece la Chiesa cattolica per evitare la Shoah? E’ un argomento molto dibattuto, così come la figura di Papa Pacelli, Pio XII. C’è chi afferma sia stato troppo tenero con i nazisti non avendo fatto nulla per impedire lo sterminio degli ebrei, e chi invece sottolinea il dato indiscutibile dell’aiuto prestato agli ebrei nel periodo delle deportazioni. La Chiesa dal canto suo sostiene che, adottando una linea sostanzialmente neutrale, abbia evitato stragi ben più gravi e consentito ai sacerdoti una maggiore libertà d’azione. Ma sono in molti a pensare che un’aperta condanna da parte del papa avrebbe potuto frenare la furia nazista.

Sulla questione delle persecuzioni naziste, dello sterminio degli ebrei e del passato atteggiamento della Chiesa, le parole di Giovanni Paolo II sono state inequivocabili: “Abbiamo sbagliato verso di voi, fratelli ebrei, e vi chiediamo scusa”. Un gesto solenne che va apprezzato. Ma perché il Vaticano si rifiuta ancora di aprire i suoi archivi relativi alla seconda guerra mondiale? I dodici volumi pubblicati dalla Santa Sede non bastano a chiarire i rapporti di Pio XII con il nazismo, il suo silenzio sul massacro dei campi e dei forni crematori. Troppe le omissioni e i documenti mancanti. Perché? Gli archivi che ora saranno aperti da Papa Francesco nascondono forse alcune verità che il Vaticano non vuole far conoscere? Restano quindi senza risposta gli interrogativi di fondo sulla condotta di Pio XII nei confronti dello sterminio degli ebrei, e sulle scelte politiche compiute durante gli anni cruciali 1938-1945 e fino a quando il Vaticano non aprirà i suoi archivi non sarà possibile una risposta completa e persuasiva.

L’atteggiamento della Chiesa di fronte all’antisemitismo e alle legislazioni razziali è una questione molto ampia e complessa. Al di là dei compromessi pratici, particolarmente evidenti e vistosi durante la guerra nell’opera dei vari collaborazionismi, che videro spesso cattolici in posizioni di primo piano, è necessario chiedersi anche in che misura la Shoah fu facilitata da sordità, indifferenze, ostilità, che trovarono nella tradizione cristiana e nell’insegnamento della Chiesa una ragion d’essere e una giustificazione. La tradizionale polemica cattolica antiebraica, le antiche accuse, proprie del discorso teologico-religioso sul popolo “deicida”, sulla sua intrinseca immoralità e corruzione, sulla diaspora come risultato del castigo divino, sulla pratica dell’omicidio rituale, come attestazione della continuità del loro odio anticristiano, si erano mescolate e sovrapposte argomentazioni politiche e sociali che vedevano nella crescente influenza ebraica sulla vita civile, un fattore essenziale della scristianizzazione di cui la società era minacciata. Il clima di insofferenza nei confronti degli ebrei era frutto di un pregiudizio largamente diffuso in vaste cerchie cattoliche, proclamato sia nei piccoli e modesti bollettini parrocchiali, sia nelle alte riviste di cultura ad iniziare da “La Civiltà Cattolica”. Alle porte del XX secolo la rivista pubblicò una serie di 36 articoli violentemente antisemitici: “Che se questa ebraica razza straniera è lasciata troppo libera di sé, diventa subito persecutrice, vessatrice, tiranna, ladra e devastatrice dei paesi dove si stabilisce… Per impedire che questa razza perseguiti o sia perseguitata, sono necessari i freni sapienti e leggi speciali a sua non meno che nostra difesa e salute”. Mentre l’osservatore romano, faceva appello a un “sano antisemitismo” e metteva i cattolici in guardia contro i pericoli causati dall’emancipazione degli ebrei.

Ben presto si generò la contrapposizione di due fronti: una maggioranza intransigente antisemita a cui si oppose una minoranza pronta al dialogo e al riconoscimento del significato dell’ebraismo nella cultura e nella storia. Tuttavia la reale causa che poneva ancora una volta ai ferri corti gli ebrei con la Santa Sede era la possibilità che si ventilava fin dal 1917 di far ritornare i giudei in Palestina favorendo la creazione di uno Stato libero di Israele. Una simile possibilità accolse l’immediato disappunto della Santa Sede e di moltissimi ambienti cattolici, solleciti a difendere l’autonomia dei “Luoghi Santi”. Anche se non vi era stata nessuna posizione ufficiale contro gli ebrei si era voluto manifestare, attraverso questa condanna, quale fosse la linea politica al di là delle mura Vaticane nei confronti della possibilità della creazione di uno Stato d’Israele.

Effettivamente parecchi religiosi, negli anni fra il 1941 e il 1945, si prodigarono per aiutare e salvare i perseguitati: in numerosi conventi nascosero e protessero molte vittime predestinate. Ma si trattò di episodicità umanitarie contingenti, perlopiù dovute a autonome iniziative di singoli, avulse da una qualche strategia vaticana; tanto è vero che altri esponenti del clero si comportarono in maniera opposta, ma non vennero mai colpiti da alcuna sanzione da parte della Curia romana.

Sgomenta apprendere che la segreteria di Hitler, nel 1941, informò il Vaticano delle misure antisemite prese dal suo governo, e la Santa Sede rispose che non aveva obiezioni a patto che le misure antiebraiche fossero “amministrate con giustizia e carità”. Nell’agosto 1942 il vescovo cattolico di Berlino scrive a Pio XII sollecitando un intervento a favore degli ebrei tedeschi. Il Papa risponde che tocca ai “vescovi locali” decidere quando parlare e quando tacere. Gli estimatori di Pio XII hanno tentato di liquidare la questione ricorrendo a varie argomentazioni. Anzitutto, sostenendo che il Vaticano aveva scarsa conoscenza di quanto accadeva nei lager tedeschi e nei territori occupati dalle armate hitleriane, e che dunque papa Pacelli fosse ignaro delle reali dimensioni della barbarie nazista. Ma gli stessi Adss (Atti e documenti della Santa Sede relativi alla Seconda guerra mondiale, ndr) hanno confermato la totale infondatezza di questa argomentazione. Il Vaticano sapeva tutto. Pio XII era perfettamente a conoscenza delle modalità e delle dimensioni degli stermini hitleriani. Ma il pontefice non levò la voce della Chiesa di Roma contro gli aguzzini. Alcuni agiografi hanno affermato che papa Pacelli condannò apertamente e pubblicamente il nazismo, e a sostegno della loro tesi hanno citato in particolare il messaggio papale diffuso dalla Radio Vaticana in occasione del Natale 1942. Proprio quell’episodio testimonia di come Pio XII fosse a conoscenza della situazione; ma nel merito, il radiomessaggio papale del Natale 1942 fu così generico, elusivo e permeato di ambiguità che lo stesso Benito Mussolini lo definì “un discorso di luoghi comuni, che potrebbe essere fatto anche dal parroco di Predappio”. Realpolitik, volta a evitare il peggio, dovuta alla formazione più diplomatica che pastorale di Pio XII che era poi arrivato a colpire con la scomunica tutti i cattolici italiani che “liberamente e consapevolmente” avessero aderito e sostenuto il comunismo, un anatema che Pio XII non aveva mai rivolto né al cattolico Hitler né a Benito Mussolini.