Lo hanno ucciso. Ma lui non è morto. Gli hanno strappato via il cuore dal petto. Ma lui non è morto. Lo hanno offeso e deriso. Ma lui non è morto. Lo hanno fregato e derubato. Ma lui non è morto. Lo hanno pugnalato. Ma lui non è morto. Lo hanno legato e chiuso in una stanza senza bagno. Ma lui non è morto. Lo hanno ucciso più volte. Ma lui non è morto. Hanno ballato più volte gli sciacalli sulla tomba del re. Ma lui non è morto. Perché un Dio non può morire.
Chi pensa che Diego Armando Maradona sia solo “calcio” è fuori strada. L’argentino non è stato solo il giocatore più grande della storia, è stato molto di più, è stato l’uomo che non si è nascosto dietro il campione. È stato tecnica e scaltrezza, eccezionalità è umanità ma anche odio e amore, emozioni forti e cadute rumorose, grandezza e fragilità, paradiso e inferno, eccezionalità e “normalità”, forza e debolezza, grandezza e miseria, ragione e sentimento, gioia e dolore, campione che è rimasto uomo, fino in fondo, fino alla fine con i suoi pregi e difetti. Questo è quello che rende Maradona unico. Bambino senza freni cresciuto nella bidonville di Villa Fiorito a Buenos Aires tenuta insieme da orgoglio e povertà. Giovane indisciplinato che rifiuta i milioni del Barcellona e preferisce crescere tra la polvere e le baracche, i vicoli e gli anfratti di una periferia. Numero 1 del mondo del calcio che riusciva a dribblare gli spazi stretti in cui far passare il pallone, rigorosamente di cuoio, regalato dal cugino Beto con il suo primo stipendio. Profeta del gol cresciuto senza allenatori. Con il rispetto da conquistare ogni giorno, giocata dopo giocata, rete dopo rete. Ragazzo cresciuto dormendo in 10 nella stessa stanza, che non aveva spazio per vivere libero, che non ha avuto giocattoli. Anima fragile che mi ha incantato e fatto sognare. Giocatore di calcio più forte di sempre. Cercando di ricordarlo mi sono maledettamente imbattuto su un video di un uomo in ciabatte, strafatto, perso, devastato da un balletto ipnotico con tutta quella carne addosso e chissà quanto alcool in pancia, che si allaccia come un vecchio orango ad una poco affabile bionda. Un video che gira che non è collocabile con precisione nel tempo, ma collocabile certo nella parabola di un uomo che non la smette di dare scandalo di sé. Dal giorno in cui ha saputo che “essere Maradona” è una gigantesca menzogna e che vero è tutto il resto, la vita che passa. Quando sei stato Maradona puoi frequentare solo gli inferi, e le divinità, oppure nessuno. La decadenza di Diego non è un boulevard al suo tramonto, non c’è la cosmetica lussuosa e ridondante delle vite da star, ma una scena domestica pornografica per l’insieme di squallore e apatia, dove l’autodistruzione di Diego trova la sua via maestra. Proteggerlo da se stesso è impossibile. La strada è segnata. E anche il verso. Un intero libro non basterebbe a descriverne il carattere e le mille sfaccettature di un uomo che ha cambiato per sempre l’immaginario collettivo del mondo del pallone, con le sue magie, con la sua classe, con i suoi eccessi e le sue grandi debolezze. E’ stato il più grande di tutti, con buona pace di Pelè e di Messi. Un campione lontano dalla regale altezzosità di “O Rey”, diverso dalla lucida follia di George Best, o dalla glaciale classe di Johan Cruyff. La sua umanità, è la caratteristica che gli ha permesso di diventare prima icona, poi leggenda, infine mito. Amato dal popolo, perché è uno del popolo. Se sei il migliore di tutti tempi non lo decidono gli esperti, i tecnici, ma la gente, e Diego è per acclamazione il miglior calciatore di tutti i tempi. Da Villa Fiorito, quartiere povero alla periferia di Buenos Aires, ad entrare nella storia, il passo non è breve. E’ un cammino costellato dalla conquista di vette irraggiungibili, e di cadute pesantissime, dal quale sarebbe (il condizionale è d’obbligo) stato difficile per chiunque rialzarsi. Il tutto accomunato da un unico filo conduttore: un talento pazzesco mai visto prima in nessun giocatore. Si è liberi di credere o meno nell’esistenza di un Dio ordinatore dell’Universo, ma non si può mettere in discussione che in quel sinistro ci sia qualcosa di divino. Genio e follia, opulenza e decadenza. Maradona è Napoli. Gli scudetti, la Coppa Campioni, i gol impossibili, il pazzo amore della gente. La cocaina, i comportamenti da star capricciosa, la fuga, la squalifica. E todo el pueblo cantò….
Del giocatore, immenso e unico, praticamente una divinità, quasi non vale la pena parlare. Sarebbe ovvio, superfluo. Sarebbe come voler dire chi era Odisseo, chi era Dante Alighieri, chi era Gesù Cristo nostro Signore. Trasfigurato dalla sua stessa gloria, probabilmente e semplicemente il più grande calciatore di tutti i tempi, Maradona è stato Uno e Due. Uno: il migliore e basta. Due: il perduto, lo smarrito. Prendere o lasciare, Maradona era questo. Non un compromesso, non il campione che nasconde l’uomo con tutti i suoi limiti. Parlando del Pibe de Oro i due aspetti non si possono dividere, sono due facce della stessa medaglia. Maradona ha regalato sogni toccando il cielo con un dito. Quel dito che gli è servito per spingere il pallone con la “mano dei Dios” . Per questo tutto il mondo ha pianto per lui. Per questo il suo essere è destinato a vivere per sempre. Per questo ho voluto raccoglierne il ricordo. Perché non dimentico che todo el pueblo cantò. Diego è stato sintesi di bellezza e spavalderia, passione e tradimento, vita e morte, bianco e nero. Ma resterà per sempre il nostro “ooooooohh” ogni volta che lo rivedevamo. La nostra meraviglia ogni volta per lo spettacolo e per la naturalezza con cui giocava, propria di chi è il più forte e basta, e non doveva dimostrare niente.
Non può morire un immortale . Non può morire il dio del calcio, il “pibe de oro”, il “10” più amato della storia con le sue folli giocate, calciatore unico e irripetibile. Non può morire la “mano de dios” così meravigliosamente beffarda, che si consacra ai posteri, dribblando ogni avversario ed eludendo i più impliciti dettami di quella che si chiama ‘sportivita” mentre i figli di Albione occupano militarmente le isole argentine Malvinas. E non può sparire l’uomo vero, generoso, esagerato, polemico, ma mai reticente. Sempre a testa alta. Il Borges della pelota. Che todo el pueblo cantò….