Il comandante generale dell’Arma di carabinieri Teo Luzi, il procuratore nazionale antimafia Cafiero De Raho, il direttore della direzione investigativa antimafia Maurizio Vallone, il giudice Leonardo Guarnotta, i prefetti Savina e Grassi, il Vescovo antimafia Mons.Oliva, i procuratori Paci di Reggio Calabria e Zuccaro Catania, sono solo alcuni dei 20 testimoni che saranno venerdi 29 ottobre a Pescara per incontrare gli studenti nella giornata conclusiva del 25 ° Premio Paolo Borsellino.
Ma, ad ogni commemorazione di Falcone e Borsellino, non posso fare a meno di pensare che oggi la grammatica comunicativa è la stessa di allora, se non peggiore: solo sui cadaveri gli italiani riescono a esprimere una solidarietà e un’empatia disinteressate.
Falcone e Borsellino che sfidarono e portarono la mafia in catene sui banchi del maxi processo, Falcone e Borsellino che chiusero dentro una gabbia i 350 mafiosi condannati, innovatori del diritto che davano una solidità tale alle loro inchieste da superare le più difficili delle prove, la verifica dibattimentale con magistrati spesso collusi, in vita furono considerati magistrati poco ortodossi. Odiati, ostacolati, disprezzati, esposti alla pubblica disapprovazione e isolati. Oggi il torto più imperdonabile che si possa fare alla memoria di Falcone e Borsellino è perpetrare la menzogna ripetuta a ogni incontro da qualche burocrate paludato che racconta di “due talenti riconosciuti”, che hanno lavorato con il sostegno dei colleghi e dell’opinione pubblica. Queste mie parole suoneranno odiose. E vogliono esserlo, perché per capire il Paese che siamo, dobbiamo sapere che Paese eravamo. E per capire che Paese eravamo dobbiamo studiare ciò che è stato fatto a Falcone e Borsellino in vita.
Potrebbe sembrare, a un giovane lettore, che Falcone e Borsellino siano stati uomini giusti, rappresentanti dell’Italia perbene, ucciso dagli uomini ingiusti, rappresentanti dell’Italia corrotta. Non è così.
Risultava insopportabile ai più che loro avessero l’ambizione di trasformare la realtà. Meglio farli passare per uomini affamati di potere e di pubblicità. Sapete come lo attaccavano? Esattamente con le stesse parole con cui oggi gli haters riempirebbero i social. E loro, che abbiamo visto rispondere titubanti in televisione, non riuscivano fino in fondo a credere possibile di doversi scusare per essere ancora in vita.
Giovanni Bianconi – anche lui venerdi 29 ottobre al Premio Borsellino – nel suo libro “L’assedio” mette in fila tutte le vili accuse e le diffamazioni possibili e parla di una vita passata a combattere la mafia e a difendersi da tutto il resto. E Cosa Nostra era lì a osservare il progressivo isolamento, ad aspettare il momento giusto per colpire.
Falcone prima e Borsellino poi sapevano di avere il destino segnato, eppure non si sottrassero alla morte. Ma dobbiamo leggere e interpretare il loro martirio sapendo che non era possibile fare marcia indietro dopo tutto il sangue versato. Erano morti colleghi magistrati, poliziotti. Nascondersi non si poteva. Cambiare vita era troppo tardi. E allo stesso tempo, pensare a Falcone e Borsellino come due uomini rassegnati alla morte significa non comprendere fino in fondo il valore del loro sacrificio. Volevano vivere. Ma furono costretti a difendere la verità del loro lavoro con il sacrificio. Volevano vivere ma senza trattative. Oggi sono in tanti ad aver preso il loro posto e possiamo veramente dire che “Gli uomini passano, le idee restano e camminano sulle gambe di altri uomini”.
Grazie al protagonismo di istituzioni sensibili, associazioni, giovani, e di appassionati educatori e testimoni la memoria della disumana sequela criminale delle stragi è iscritta con tratti forti nella storia della Repubblica e fa parte del nostro stesso senso civico. Io credo che la cosa più importante che si possa fare per onorare la loro memoria sia non abbassare la guardia pur tra mille difficoltà.
È uno scontro che non consente mediazioni e che si combatte su più fronti. Su quello della prevenzione e della repressione ma anche su quello culturale. Se è vero che alle parole appassionate di Gesualdo Bufalino facevano eco gli appelli del giudice Falcone: “prima di tutto serve un esercito di maestri per combattere la mafia”. Per questo è fondamentale perpetuare il loro ricordo per difendere i valori più importanti della nostra comunità.