I ragazzi sono tornati a manifestare per l’ambiente, proprio a pochi giorni dalla festa di San Francesco, “uomo del futuro”, la cui memoria viene festeggiata oggi in tutto il mondo.
È patrono d’Italia. È amato in Oriente e Occidente. Francesco, l’apostolo della povertà, era basso di statura, magrolino, i capelli e la barbetta scura, estroso ed elegante, primeggiava fra i giovani, amava le allegre brigate, spendendo con una certa prodigalità il denaro paterno, tanto da essere acclamato “rex iuvenum” (re dei conviti) che lo poneva alla direzione delle feste. A Spoleto nel 1202 ebbe un sogno rivelatore con una voce misteriosa lo invitava a “servire il padrone invece che il servo”. Ritornato ad Assisi, iniziò le opere di carità verso i poveri ed i lebbrosi, e Dio gli parlò mentre era assorto in preghiera nella chiesetta campestre di San Damiano e fissava un crocifisso bizantino. Come lui stesso racconta udì per tre volte questo invito: “Francesco va’ e ripara la mia chiesa, che come vedi, cade tutta in rovina”.
Francesco è il santo per antonomasia, protettore della creazione e, forse, mai come in questo nostro tempo, può ricordarci il valore di ogni creatura che porta in sé l’impronta del creatore. Il fatto che Francesco canti la bellezza della creazione, chiamandola con l’appellativo “fratello” o “sorella” non cessa mai di stupirmi! I due termini, infatti, sottintendono una relazione “di sangue”, una sorta di parentela. Ma quanto il suo messaggio di attenzione all’ambiente è ancora attuale per questi giovani ? Francesco ha contemplato ogni creatura alla luce di Cristo risorto e l’ha vista, come nel caso dell’acqua, “utile, umile, preziosa e casta”, (Cantico delle creature) ha saputo raccontare con la vita la novità del Vangelo dentro un tempo di grandi cambiamenti sociali, vedere gli scarti di questa nuova società, imparare a riconoscere i loro volti dei “minores”. Così, nel cuore di una chiesa rimasta feudale, blocco di interessi, ricca, dominata dal denaro, guerriera, schiava del potere temporale, ricca di compromessi e contraddizioni, riesce a scoprire la croce e fare sua la storia di Gesù di Nazareth.
Francesco predica il valore del Vangelo “sine glossa”, l’unico in grado di riconoscere nel corpo di chi fa più fatica la gloria del Signore, e inventa una forma di vita comune in cui non esistono “majores” o “minores”, dove viene cancellata ogni posizione di dominio e di precedenza e dove la povertà è l’abito quotidiano che rende autentica ogni parola. Una fraternità che permette al Vangelo di essere parola fondatrice di umanità perché capace di leggere il proprio tempo, ciò che gli uomini e le donne con cui condivide la strada sentono come urgente e necessario.
Penso a Francesco d’Assisi e guardo la Chiesa di oggi che ancora “cade tutta in rovina” , presa dalla paura dell’irrilevanza, che si parla addosso, che è vuota e lontana, che – come direbbe Greta Thumberg – è tutta “bla, bla, bla”, che “cade tutta in rovina”, tesa tra le difficoltà dell’esistenza tra mille prelati simbolo del peccato e della contraddizione, e la gioia di provare a incarnare il Vangelo di Gesù nelle più diverse situazioni culturali, presa dall’idolatria dello specchio, dall’ansia derivata dalla fuga di tanti che non si riconoscono più nei suoi gesti e nelle sue parole, incapace di far a meno, nonostante le tante parole contrarie, della sicurezza del potere e della seduzione del denaro. Una Chiesa che ancora “cade in rovina” mostrando i segni della crisi. Tenuta unita e in piedi solo dagli sprazzi di speranza alimentati da un grandissimo Papa Francesco, che gioca ogni volta tutto il suo carisma , costretto ogni volta ad affidarsi al suo angelo, nel tentativo di mettere delle pezze, per superare questa crisi.
Come ha ricordato ieri l’immenso Papa Francesco, ispirato dall’angelo, “al tempo di Francesco, infieriva un lupo grandissimo, terribile e feroce il quale non solamente divorava gli animali, ma anche gli uomini, al punto che tutti vivevano in grande paura”.
Questo lupo, abbiamo imparato a conoscerlo meglio. E’ un lupo di tutti i tempi e non si aggira per i boschi. Si nasconde dentro i grandi palazzi. Specialmente in quelli in ristrutturazione. E se ne frega se degli abitanti della sua città aspettano quei lavori che lui sta facendo. Quel lupo feroce sembra dire “#chissenefrega” se i cittadini soffrono. Quel lupo feroce si nasconde dentro il professore dei balletti rosa. Dentro l’imprenditore separato che menava alla moglie. Che tutti lo sanno ma è protetto dal branco. E dentro il geometra ladro. Dentro il servo ignorante e cocainomane diventato “pezzo grosso”. Dentro il politico corrotto che spera di usare e viene usato. Dentro il miserabile senza coscienza. Dentro l’uomo senza spina dorsale. Dentro tutti quelli che sanno, ma si girano dall’altra parte. Si nasconde in ciascuno di noi. Non c’è ruolo che possa ammansirlo. “Solo la docilità al Vangelo e la condivisione con i più poveri”. Lo ha detto bene, in un intervento ai giovani, il papa argentino che del santo italiano ha voluto prendere il nome. Che sia questa la strada per rendere credibile il nostro essere credenti?