Orbi, monchi, zoppi.

È quello che dovremmo diventare, dopo avere letto l’indigesto e indigeribile Vangelo di oggi. Che, per la precisione, va preso come una provocazione paradossale in questo caso. Ma se Gesù deve ricorrere a queste iperboli è perché sa bene quanto siamo abili nel rendere insapore ogni sua parola sferzante.

Cavati un occhio, tagliati una mano o un piede se fanno scandalo ad uno solo di questi piccoli. A coloro, cioè, che si sono avvicinati al Maestro salvo poi incontrare coloro che del Maestro sono (dovrebbero essere o almeno tentare di diventare) somma trasparenza. Cioè noi. Cioè io. E per cosa si scandalizzano questi poveri? Nel vedere finti “buoni” che fanno cose per il loro piacere, e la loro immagine,  per le loro foto, per la pool position, per sentirsi colti, per  parlare di beneficenza  con pochi euro, buttando qualche rimasuglio  ai poveri  e bisognosi,  senza mai un puntuale rendiconto  della somma donata e della somma spesa per essere “buoni”.

Crea scandalo  vedere che tre multi multi milionari,  che fanno soldi con i  ricchi che pagano una cena 200 euro per sentirsi fregni, parte di una elite,  prendono per il culo una platea di ricchi parlando  di “cibo per i poveri” e  parlano di poveri veri, senza un povero veramente povero “in presenza”, che sono spesso senza cibo  per colpa dei loro fans.  Perchè  la cultura del cibo non può essere orientata al profitto. La cultura del cibo non passa per i bisogni di un consumatore ricco,  pigro e credulone, ma passa attraverso i nostri  nonni, i nostri cuochi che mantengono viva la tradizione dei cibi, attraverso i tanti appassionati  che si impegnano e a volte si sforzano a tenere alta la qualità dei loro piatti. La cultura del cibo passa attraverso persone che non state invitate ma fanno, creano, tengono viva ogni giorno, a TERAMO la cultura del cibo. E la fanno crescere.  Ogni giorno. Nella case, nei nostri ristoranti, non nelle ricche  boutique dei e per privilegiati. . La distinzione tra la qualità e la non qualità non passa per i pochi ricchi che non distinguono  la pasta fatta in casa da quella artigianale. La sostenibilità e la non sostenibilità è  in un sistema  locale, ognuno il suo, che si sposa è  ha cura di tutti gli esseri viventi, delle risorse del pianeta, dei diritti di chi c’è e di chi arriverà. Il discorso del cibo è uno dei principali discorsi dell’umanità, che non si riduce alla elaborazione  dotta di tre privilegiati, di una ricetta, più o meno spettacolare. Nel vedere  un vescovo imprenditori  – sotto braccio con il diavolo, un tossico, un divorziato, un servo diventato imperatore, un biscazziere e un corrotto –  che tiene per le palle una masnada di politici incapaci e inginocchiati,  in attesa di un “favore”, schierati al suo servizio, mentre lui  sogghigna  e gli dice “ o stupidi, o cretini, non lo vedete che io faccio cose con i soldi delle vostre tasse  mentre una città è ferma a guardare e straparla”  . Vescovi che pensano ai palazzi invece che ai tanti bisogni della gente,  bisognosa di tante cose, che non trova risposte perché gli amministratori  del partito panem et circenses, presi  delle foto e dall’ego,  non ascolta altri che  uno specchio rotto.

Nel trovare discepoli che, invece di accogliere, invece di spalancare le porte e il cuore, invece di gioire per chi si avvicina al Signore, invece di benedire il Padre se lo spirito di profezia contagia anche chi non è dei nostri, diventano  una banda di guardoni  del quotidiano più che della storia, della storia, inutilmente polemici, divisi, rancorosi, fintamente devoti. Innalzano muri, costruiscono dogane, rilasciano patenti di buona condotta. E che, invece di gioire nel ricevere un bicchiere d’acqua, mormorano guardando di sbieco chi glielo offre, sospettosi, sempre pronti ad emettere (inappellabili) giudizi etici e di opportunità.

Esagero ? Volesse Dio ! Ma se tanta fatica sta facendo la Chiesa, e la Chiesa italiana in particolare, non è perché sia cambiato l’irresistibile messaggio di vita e di amore del Vangelo. ma perché, semmai, lo abbiamo appesantito con mille orpelli e “distinguo” rendendolo poco attraente. I guaritori, al tempo di Gesù, praticavano alcuni gesti rituali sull’ammalato, su chi si pensava essere indemoniato (le malattie di cui si ignorava l’origine erano attribuite al demonio), invocando, nel contempo, i grandi guaritori: il re Salomone, uno dei profeti e, segno della sua crescente notorietà, anche Gesù. Così uno dei discepoli, Giovanni, dopo avere assistito alla scena, riferisce al Maestro, piuttosto preoccupato, l’episodio. Notate la sottigliezza di Marco evangelista: Giovanni non si lamenta col Maestro dicendo “non è tuo discepolo” ma: “non ci seguiva”, cioè “non è dei nostri”.

Così come, nella prima lettura, lo Spirito scende su due israeliti che non erano stati prescelti per entrare a far parte del gruppo che avrebbe aiutato Mosè. Gesù, come Mosè, rassicura i discepoli, e noi. Di Spirito ce n’è in abbondanza, non scherziamo. La Chiesa fa parte del Regno, ma non lo esaurisce. E lo Spirito sparge a piene mani i semina Verbi, come li chiamava san Giustino, i semi del Verbo in ogni persona, in ogni cultura. Se è normale identificarsi, riconoscersi, in questo caso in una comunità, in un percorso, in un progetto, è sconveniente, questo dice il Vangelo di oggi, definire chirurgicamente i confini di chi è dentro e di chi è fuori. Soprattutto quando parliamo di fede, di interiorità, di spiritualità. I discepoli del Signore hanno caratteristiche comuni, si riconoscono in una stessa fede, credono nel Dio che Gesù ha rivelato, praticano i consigli del Vangelo, certo. E, a partire da Gesù stesso, pongono dei segni per identificarsi: il battesimo segna l’ingresso nella comunità dei credenti. Ma il rischio di fare della comunità un gruppo ristretto, una setta che si definisce in termini assoluti, non riconosce l’azione dello Spirito che, invece, soffia dove vuole e quando vuole. Il Signore oggi, a noi discepoli, chiede ancora una volta di uscire dalla mentalità mondana che innalza steccati, per entrare in quella di fede che non pretende di insegnare allo Spirito come agire…

E Gesù esemplifica: non c’è bisogno di avere fatto scelte definitive, di avere assunto comportamenti intransigenti per appartenere al Regno di Dio. Anche il solo gesto di offrire un bicchiere d’acqua a dei discepoli, perché discepoli, è degno di ricompensa. Lo vediamo anche nelle nostre comunità: persone apparentemente distanti o critiche nei confronti della Chiesa e degli uomini di Chiesa (quasi sempre con qualche buona ragione per esserlo), sono capaci di grandi gesti di attenzione e di amicizia quando incontrano un prete generoso, un catechista accogliente, una suora simpatica, una coppia donata. Allora si rendono disponibili, offrono aiuto, ben più di un bicchiere d’acqua!, perché comunque affascinati dal Vangelo.

Chi è Chiesa? Chi fa parte della comunità? Le persone che vengono a Messa magari tutti i giorni? Il parroco, le suore dell’asilo e pochi altri ? No, dice il Signore, a volte anche persone apparentemente distanti o che non ci aspetteremmo sono nella logica e nel cuore di Dio. Ma, insiste Gesù, guai a scandalizzare uno di questi piccoli. A chi si riferisce? Dal contesto è evidente che questa parola il Signore la indirizza a Giovanni e a noi, a chi crede di poter dare patenti di cattolicità, a chi critica e giudica. I piccoli, in questo caso, mi sembra che siano proprio coloro che stanno ai margini, che non si sentono di appartenere alla fede, che esprimono perplessità ma che, comunque, sanno offrire un bicchiere d’acqua. Mi inquieta questa pagina. Vedo quanto scandalo stiamo dando, come cristiani, quando ci prendiamo a randellate su cose di Chiesa. Fatevi un giro sui social, o in Vaticano, per vedere quanta contrapposizione c’è fra i cristiani. Conservatori, progressisti, sedevacantisti, tradizionalisti… uno spettacolo imbarazzante che diamo al mondo. Altro che testimonianza!

Gesù è molto duro in questa situazione. Se scandalizzi sei degno della Geenna, la valle a sud di Gerusalemme in cui si bruciavano le immondizie. Se allontani dal Vangelo chi cerca Dio sei un monnezza. Parole dure, lo so. Ma preferisco diventare orbo e monco piuttosto di dare questo scandalo ai cercatori di Dio. Abbiamo indossato i panni dei pellegrini, di una Chiesa sinodale. Questa Parola, seppur caustica, dovrebbe indicarci una direzione di cambiamento.