TERAMO – Il diritto allo studio sancito dalla Costituzione, per non rimanere un enunciato, si deve accompagnare a scelte e condizioni congruenti: finanziamenti e risorse (non solo per l’edilizia) che in questi anni sono mancati.

Ci sono voluti il terremoto e calamità naturali varie per varare un programma – insufficiente – per mettere in sicurezza il patrimonio scolastico italiano.

La scuola non ha solo bisogno di “spazi” ma luoghi di qualità che convergano sul principio della Costituzione: per realizzarli, per non vedere le scuole a pezzi o crollare sotto le scosse di un terremoto, ci vuole un investimento pubblico che fino ad oggi, a ieri, in questo Paese, non c’è stato.

Noi enti locali, abbiamo supplito in vari modi e certamente in maniera insufficiente, alle contraddizioni, tante, dei diversi Governi che si sono succeduti in questi ultimi vent’anni; proprio sulla scuola e sul sistema scolastico si sono accaniti con riforme, controriforme, e scelte contraddittorie (come l’avvio di numerosi e spesso fallimentari nuovi indirizzi scolastici senza una conseguente programmazione di nuove aule, laboratori etc etc).

Questa premessa non suoni come una difesa: siamo uomini delle istituzioni, ma è doverosa altrimenti non comprendiamo perché siamo arrivati a questo punto.

La Provincia non ha più – grazie ad un’altra riforma fallimentare quella della Legge Del Rio – una finanza propria. Noi possiamo programmare, proporre, partecipare ai bandi per chiedere finanziamenti ma fra il finanziamento la realizzazione di un’opera – che sia una nuova scuola o una ricostruzione, un adeguamento etc etc – passano dai tre ai cinque anni. E su questi tempi l’ente locale, la Provincia, poco può fare. Tranne continuare a chiedere con forza, come Unione delle Province D’Italia, che questo sistema che non ha funzionato e che sta mettendo in ginocchio i servizi sia cambiato. Lo dico solo a titolo di informazione, lo stesso discorso vale per le strade provinciali. Strade e scuole, i nostri principali servizi.

Le due questioni che ponete in maniera specifica.

1) Per recuperare delle aule provvisorie al “Marino” dobbiamo spostare altri studenti, di altre scuole, in un’altra sede. Fino a quando non andrà via la Croce Rossa dal “Comi” non possiamo farlo. Non possiamo semplicemente mettere fuori dalla porta la Croce Rossa o altri studenti, vostri colleghi, per far posto a quelli del “Marino” e su questo problema immagino che avete seguito da vicino i nostri appelli, le riunioni con la Prefettura, con il Comune di Teramo. E nemmeno posso obbligare gli studenti di una scuola che non ha problemi né di sisma né di ricostruzione a trasferirsi altrove per far posto agli studenti del “Marino”. Capite bene che a quel punto, anche voi, come Consulta avreste un problema a prendere le parti dell’uno o dell’altro. Sposteremmo solo il problema in un altro istituto.

Ci siamo trovati con il cerino in mano. Posso dirlo che si tratta di situazioni che abbiamo ereditato senza sembrare che scarico il barile? Mi sono anche offerto di ospitare la Croce Rossa nel mio comune a Notaresco, non so cosa altro possiamo fare se non aspettare, come promesso che l’associazione lasci i nostri locali per fine anno.

2) Trovare un intero stabile in affitto, in una città terremotata come Teramo, non è semplice. Lo facciamo a Roseto, a Giulianova a Silvi. Ma a Teramo non è facile. Inoltre dobbiamo prevedere un fondo di bilancio molto significativo, fra i 100 mila e i 200 mila euro l’anno per almeno tre/quattro anni. Anche i MUP costerebbero più o meno questa cifra e in più dovremmo trovare dei terreni entro la cerchia della città. Perché non ci abbiamo pensato prima? Questa domanda ci porta lontano, visto che il “Marino” è stato chiuso nel 2016, quando noi non c’eravamo, senza un’alternativa. Diciamo, quindi, che la mia amministrazione si è ritrovata con il cerino in mano. Posso parlare solo per me: avete la mia parola che da questo momento cambiamo lo schema – Ufficio Stampa