TERAMO – Prosegue la XXIX edizione di MaggioFest, con la sezione Cinema. Giovedì 16 Settembre alle ore 21 nella Sala 1 del Multisala Smeraldo di Teramo, Leonardo Persia presenterà la serata dedicata al Cinema d’Autore con la proiezione “Il buco in testa” di Antonio Capuano, che sarà presente in videoconferenza. Biglietto d’ingresso € 5,00.

Il buco in testa (Italia, 2020) di Antonio Capuano – Sc: A. Capuano – fot: Gianluca Laudadio – mo: Diego Liguori interpreti: Teresa Saponangelo, Tommaso Ragno, Francesco Di Leva, Vincenza Modica, Gea Martire. Durata 95’

Sinossi (a cura di Leonardo Persia): Maria Serra ha un buco in testa: una zona oscura che condiziona tutta la sua vita, ferma al giorno in cui suo padre è stato ucciso. Mario Serra era un vicebrigadiere che il 14 maggio 1977 è rimasto a terra dopo essere stato colpito a morte da Guido Mandelli, attivista di Autonomia Operaia. Ora Maria vive a Torre del Greco con la madre Alba che non parla praticamente più, e sopravvive fra lavoretti precari e frequentazioni con alcuni maschi locali: un poliziotto, un insegnante, un ladruncolo di strada. Finché la sua psicologa la incoraggia ad incontrare a Milano l’assassino di suo padre, uscito di galera dopo aver scontato la sua pena. E Maria è intenzionata ad andare a quell’incontro con una pistola al fianco.

“Capuano nel suo decimo lungometraggio affronta di petto uno dei momenti storici più difficili da trattare per la produzione italiana: la lotta armata, il brigatismo, quel popolo del ’77 che decise di muoversi fuori dagli schemi legali e imbracciarono le armi. Ma Capuano alza ulteriormente il tiro, dichiarando fin dai titoli di testa di essersi liberamente ispirato alla storia di Antonia Custra e di suoi padre Antonio, poliziotto partenopeo che rimase ucciso durante una manifestazione milanese nella primavera del 1977. L’assassino di Custra era un esponente di Prima Linea, Mario Ferrandi, immortalato in una delle più celebri fotografie dell’epoca. Antonia e Mario ebbero modo di incontrarsi in un caffè di Milano nel 2007, trent’anni dopo i tragici fatti, poi la donna morì quarantenne nel 2017, uccisa da un tumore. Già nella scelta di Capuano di ambientare il suo film nel 2020 (da un televisore acceso arriva la notizia della conferenza berlinese sulla Libia) si può percepire il carattere sentimentale tanto de Il buco in testa quanto del suo cinema nel complesso: per Capuano Antonia Custra (che nella finzione si chiama Maria Serra) non è mai morta, è ancora viva e determinata a lottare per trovare il proprio posto nel mondo. Perché in questo stratificato racconto di fallimenti e di vittime non c’è spazio per la commiserazione, ma per la rivendicazione di uno spazio, che sia strettamente personale o collettivo, in cui si abbia la possibilità di resistere a una società sozza, profondamente sbagliata. Capuano rispolvera categorie umane che il cinema italiano ha volontariamente eliso dal proscenio: si parla di proletariato nel senso più politico del termine, di brigatismo, di una generazione che ha tentato di rivoluzionario il Paese, e lo ha fatto nei modi più disparati, arrivando anche all’errore della lotta armata, ma che per questo ha pagato un dazio gigantesco, confinata in un oblio ottundente e quasi impenetrabile”. (Raffaele Meale, Quinlan.it, 24 novembre 2020)

Antonio Capuano (Napoli, 9 aprile 1940): l’esordio del regista avviene all’interno di una centralità napoletana che caratterizza il grande cinema e teatro nazionale di fine millennio. ‘Vito e gli altri’ (1991) segna una data importante, dopo un decennio ripiegato sul proprio ombelico, gli anni ’80 luccicanti di soldi, edonismo e tele-visioni, di un cinema italiano sempre più asfittico ed esangue, immesso in un’afasia di codici fallimentari. È un’opera ruvida e visionaria, senza lirismi o ipocrisie, che torna sulla strada, ai bambini e adolescenti perduti di Napoli. Da un pezzo il pubblico si era disabituato a quel furore politico ed espressivo, capace di recuperare le doti del nostro tradizionale realismo attraverso una vitalissima riscrittura dello stesso. L’autore ha 50 anni e un lungo passato di scenografo televisivo. Sbalordisce per padronanza del mezzo, intemperanza stilistica e sguardo più giovane dei giovani, indomito e agguerrito. Capuano promette e mantiene. Il secondo lungometraggio, ‘Pianese Nunzio, 14 anni a maggio’ (1996), ambientato sempre a Napoli, tra i minori, la miseria, il crimine organizzato, sciocca e fa discutere. Il protagonista è un prete in lotta contro la camorra, innamorato del chierichetto del titolo, non ancora quattordicenne, uno scandaloso “lolito”. Tema ardito, irriferibile, svolto però con l’equilibrio scomposto di uno sguardo già maestro. La più meravigliosa e crudele città d’Italia è al centro pure di ‘Polvere di Napoli’ (1998), scritto insieme a Paolo Sorrentino, di lì a poco regista. È, non del tutto a sorpresa, una commedia a episodi (l’anno prima, ‘Sofialorèn‘, dal collettaneo ‘I vesuviani’ aveva introdotto lo humour surreale dell’autore). Capuano dimostra un eclettismo affilato capace di percorrere strade molteplici. ‘Luna rossa’ (2001), ancora una storia di malavita, rifugge il facile naturalismo, rifacendosi al teatro greco. ‘La guerra di Mario’ (2005) si pone ancora all’altezza di un bambino (il Mario del titolo sottratto dal tribunale ai genitori), con la sensibilità e la profondità di chi è capace di dirottare altrove pensiero e macchina da presa. ‘L’amore buio’ (2010) affronta senza luoghi comuni il tema dello stupro tra adolescenti e la crudezza del suo assunto sfocia in una tenerezza e un intimismo inattesi. L’autore varia lo sguardo, ma continua a rimanere pungente, vitale, non riconciliato. Il suo segno irrequieto apre e contamina, inventa e reinventa, ha il coraggio di sperimentare all’interno di un ambiente ormai chiuso e conformista. Le impervie direzioni di ‘Giallo?’ (2009), ‘Bagnoli Jungle’ (2015) e ‘Achille Tarallo’ (2018) risultano tanto più lucide quanto scomposte e arruffate, fuori dalle logiche dello spettacolo tout-court o del cinema d’autore standard. Con l’ultimo, bellissimo ‘Il buco in testa’ (2020), il cineasta compie uno strabiliante back to the future. Torna al tema rimosso degli anni di piombo, per saldarlo, genialmente, al dramma di un’altra generazione perduta, quella concepita tra i fumi e le lotte dell’ideologia e della politica, e catapultata, per contrappasso, nel mondo global spoliticizzato e post-ideologico. Capuano restituisce la feroce opacità del nostro tempo, parimenti confuso e spietato quanto quel periodo di lotta e di lutto. Sa farlo con l’occhiuta sottigliezza di un saggio combattivo. Più appassionato che distaccato. (Leonardo Persia)