Libera Chiesa in libero Stato.
La frase è celebre perché utilizzata dal massone Cavour – ispiratore della grande truffa della presunta unità d’Italia, che rubò il tesoro dei Borboni e spogliò il sud a vantaggio unico del nord Italia -, in occasione del suo primo intervento al parlamento, fatto dopo la proclamazione del Regno d’Italia, il 17 marzo 1861, che portò alla proclamazione di Roma come capitale del regno. Ma questo falso eroe aveva utilizzato la frase di Alexandre Vinet che proclamò il principio “libera Chiesa in libero Stato” nella “Mémoire en faveur de la liberté des cultes”.
Tale affermazione esprime efficacemente il concetto: occorre che ci siano rapporti di reciproco rispetto, nella reciproca autonomia, fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica in modo da permettere la loro convivenza. Sostanzialmente Cavour asseriva che il papa avrebbe dovuto dedicarsi soltanto al potere spirituale dimenticandosi quello temporale sui suoi possedimenti.
Ciò vale ancora oggi. Anche in un parlamento incapace di rispondere a questa intollerabile intromissione, La Chiesa dovrebbe preoccuparsi dei Vescovi pagani che rubano; dei Vescovi amici di Becciù; dei Vescovi che chiedono soldi in cambio di favori; dei Vescovi che mercificano la fede e corrompono le anime; dei Vescovi che in nome di Dio aprono le porte dell’inferno ai loro servi. E non occuparsi dei progetti di legge in discussione al parlamento democraticamente eletto e sovrano.
Il Vaticano invece ha chiesto formalmente al governo italiano di modificare il ddl Zan, il disegno di legge contro l’omofobia. Perché secondo la Segreteria di Stato violerebbe “l’accordo di revisione del Concordato. Ovvio che l’intervento a gamba tesa della Santa Sede sul governo italiano ha l’obiettivo “di bloccare” il ddl Zan e di “rimodularlo”. Con la scusa palese di poter continuare a svolgere la sua azione pastorale, educativa e sociale liberamente.
Mai la Santa Sede era intervenuta nell’iter di approvazione di una legge italiana esercitando formalmente le facoltà che le derivano dai Patti Lateranensi. Un atto che va ben oltre la ‘moral suasion’ che spesso la Chiesa ha usato per leggi controverse. Per quanto mi riguarda un intervento del genere, arrogante e scorretto, meriterebbe una palata tra i denti. Se ci fosse un vero Governo. Forte, autorevole. In uno Stato libero. Invece solo una sequela di balbettii di cristianucci a giorni alterni, falsi e ipocriti, che di fatto bloccano questa legge.
Ma resta che questa legge “Zan” è sbagliata. L’amore è amore. Punto. E qualsiasi amore sia non ha bisogno di questa legge. Il rispetto è il rispetto. Punto. E chiunque lo meriti non ha bisogno di questa legge. La violenza è violenza. Punto. E ogni violenza, offesa, intimidazione deve essere punita ed è già punita dalla legge severamente, e non ha bisogno di questa legge ideologica. Non serve una legge intransigente per battere l’intransigenza. E nei fatti questa proposta di legge tende a limitare gli spazi di libertà invece di farli crescere: nel testo della proposta ci sono posizioni che finiscono per limitare la libertà di opinione e di espressione invece di aumentarli. E’ una legge che ha criticità evidenti, rilevate da numerosi giuristi democratici come Cesare Mirabelli e Giovanni Flick, soprattutto sul rischio di sfociare in un vero e proprio reato d’opinione. Per combattere e punire ogni discriminazioni non si può comprimere la libertà di pensiero. E’ un non senso. Ognuno deve essere libero di amare e vivere. E di scegliere come vivere la sua vita. Ma non usando una legge bavaglio contro chi non la pensa come lui, e nei confronti della libertà di opinione.
Abbiamo un Codice penale che sancisce i reati di violenza verbale, fisica, di opinione. Vige la legge Mancino. Ci sono regolamenti. Nonché codici deontologici che sanzionano comportamenti lesivi dei diritti dei cittadini costituzionalmente protetti. Sia la violenza alle donne sia il bullismo scolastico sono perseguibili. E’ ovvio che stiamo assistendo ad una contrapposizione tra partiti che vogliono piantare loro ‘bandierine’.
La Costituzione afferma già, all’articolo 3, la “pari dignità sociale” di tutti i cittadini “senza distinzione di sesso…”: un’espressione che non esclude nessuno, per definizione, e che non dovrebbe autorizzare l’identificazione per legge di un gruppo di cittadini distinti dagli altri per un criterio soggettivo come l’identità di genere. L’identità di “genere” non può cancellare la differenza sessuale per accreditare una indistinzione dei “generi” con una confusione antropologica che preoccupa. “Genere” che diventerebbe il luogo in cui far sparire i corpi, come lamentano le associazioni femministe e lesbiche. La “identità di genere” nella sua indeterminatezza soggettiva non è adatta a sostenere una legge, che ha bisogno di certezze oggettive, e tantomeno una norma.
Tutto ciò apre la porta all’idea che l’identità di genere, e non il sesso, definisca una persona. Un concetto che dal punto di vista educativo è più che discutibile. Con una legge che prevede ed esclude e punisce di fatto la possibilità di affermare la tesi contraria, ritenuta potenzialmente discriminatoria. La sola minaccia di conseguenze penali, peraltro, è di per se una compressione della libertà di pensiero e di educazione sotto la minaccia di “omofobia”.
Approvare una legge, su qualsiasi tema non, è una semplice questione amministrativa: essa pone il discrimine fra ciò che è lecito e ciò che non lo è; quindi, per un’errata associazione di idee, divide nella percezione della gente ciò che è bene da ciò che è male. Un comportamento legalizzato sarà percepito come giusto, anche se non è detto che lo sia, e viceversa. Pensate alle leggi razziali: migliaia di persone che fino al giorno prima avevano trattato i propri vicini ebrei come amici, dall’oggi al domani iniziarono a credere che fosse giusto perseguitarli. Nel caso di questa legge, il pericolo sta nel fatto che non viene definito cosa si intenda per “discriminazione” e “incitamento all’odio” delle persone omosessuali, rischiando di lasciar passare l’idea che sia interpretabile come discriminatorio, e quindi illegale (e quindi male), tutto ciò che sia contro l’ideologia Lgbt. Anche una semplice opinione espressa pubblicamente. Il fatto è che i concetti di discriminazione e di incitamento all’odio non sono misurabili né definiti a livello giuridico. Tutto è rimesso alla discrezione e alla soggettività del giudice. Per questo, il vero movente della legge è limitare la libertà di parola, in quanto chi vuole mettere in galera coloro i quali hanno una visione dell’uomo “tradizionale”, spesso percepisce le affermazioni contrarie alle sue come un’offesa o una critica personale. Il problema non è sempre di chi fa affermazioni presunte “omofobe”, ma spesso è di chi le vive come tali, assolutizzando il senso di persecuzione che si porta addosso. In ogni caso, anche se fosse fatta una legge più chiara nel definire in modo oggettivo il reato di omofobia, essa sarebbe comunque un grave atto di discriminazione anticostituzionale, poiché creerebbe una altra categoria di persone, contravvenendo al principio della Costituzione che afferma che tutti siamo uguali di fronte alla legge.