Giovanni Brusca azionò il telecomando della bomba di Capaci.  Come  9 anni prima aveva fatto  saltare in aria il giudice Rocco Chinnici . Giovanni Brusca sciolse nell’acido un bambino, Giuseppe Di Matteo. Giovanni Brusca colpevole di 80 omicidi. Giovanni Brusca il braccio armato di Totò Riina. Giovanni Brusca per venti anni “lo scanna cristiani”. Giovanni Brusca  il pentito. Giovanni Brusca  oggi è un uomo libero. Davanti alla prospettiva di trascorrere in carcere il resto della vita anche lui, qualche mese dopo l’arresto, ha cominciato a rivelare i retroscena e il contesto di tanti delitti e degli attentati a Roma e Firenze del 1993. Accettare che una belva feroce come lui in questo momento non sia in gabbia è difficile.

Dura lex sed lex. Brusca ha ripassato e raccontato in rassegna i suoi crimini più odiosi, e quelli di cui era a conoscenza. Per quei benefici che ora gli hanno ridato la libertà. E’ un fatto che dalle sue rivelazioni presero l’avvio numerosi procedimenti che hanno incrociato anche i percorsi dell’inchiesta sulla “trattativa” tra Stato e mafia. E’ un fatto che, in quanto collaboratore di giustizia, ha permesso di ricostruire molti legami tra mafia e parti della società civile, e le trame che legano il mondo mafioso con parte della politica e dell’imprenditoria.

Dura lex sed lex. Così, ieri, il boss mafioso Giovanni Brusca ha finito di scontare la sua pena in carcere.  Lo “scanna cristiani” è libero. Si trova in una località segreta. Nutrito. Pagato. Protetto dai colleghi di quelli che lui fece saltare in aria a Capaci. E’ difficile da accettare. È una notizia che lascia senza fiato e fa venire i brividi. L’idea che un personaggio del genere sia di nuovo in libertà è inaccettabile, è un affronto per le vittime, per i caduti contro la mafia e per tutti i servitori dello Stato che ogni giorno sono in prima linea contro la criminalità organizzata. Venticinque anni di carcere sono troppo pochi per quello che ha fatto. È una sconfitta per tutti, una vergogna per l’Italia intera notizia che sicuramente non fa piacere. È un’offesa per le persone che sono morte in quella strage. Secondo molti dovevano buttare via le chiavi. Sono trascorsi 29 anni da quel giorno, ma né Falcone, né la moglie, né i ragazzi della scorta potranno mai ritornare in vita. Che Paese è il nostro? Chi si macchia di stragi del genere, per molti, non deve più uscire dalla galera.

Anche se era un esito annunciato, la scarcerazione suscita comunque le reazioni più critiche. I familiari delle vittime da tempo avevano già espresso le loro preoccupazioni quando si è cominciato a porre, già l’anno scorso, il problema di rimandare a casa un boss dalla ferocia così impetuosa da meritare l’appellativo di “scanna cristiani”. Però nel suo caso sono stati semplicemente applicati i benefici previsti per i collaboratori . Così le porte di Rebibbia si sono spalancate nel pomeriggio per richiudersi alle sue spalle. Ha scontato tutta la pena che gli era stata inflitta, e a differenza di altri collaboratori di giustizia, lui la condanna l’ha espiata in cella. A  differenza di molti altri pentiti, è uno dei pochi ad aver scontato un quarto di secolo dietro le sbarre di un carcere. Maria Falcone invita alla calma: “Questa è la legge che ha voluto mio fratello e va rispettata”

Del resto la corte dei diritti dell’uomo ha chiesto all’Italia di riformare l’intera norma  che disciplina il fine pena mai per i boss irriducibili. Lanciando un segnale diretto nei bracci più blindati dei penitenziari italiani, dove sono reclusi gli ultimi uomini delle stragi: dai fratelli Graviano  i boss che custodiscono i segreti delle stragi del ’92 e ’93. Condannati all’ergastolo per le bombe che uccisero Falcone e Borsellino, per gli ordigni esplosi nel 1993, fino a Leoluca Bagarella e Nitto Santapaola. Dura lex sed lex.