La vera lotta alla mafia inizia con Pio La Torre che fu tra i primi a riflettere sull’importanza strategica del patrimonio per i mafiosi, avendo osservato in prima persona l’evoluzione della mafia. Le posizioni via via ricoperte nel sindacato e nel mondo politico gli consentirono di vedere i Corleonesi conquistare Palermo, e gli fecero comprendere le dinamiche della trasformazione di una mafia non più ancorata ai vecchi meccanismi di accumulazione del capitale attraverso le rendite fondiarie, bensì proiettata in una dimensione transnazionale e globalizzata. Il sistema di potere stava evolvendo, dal latifondo delle origini all’edilizia urbana, grazie alle connivenze con la politica locale, fino all’imprenditoria legale e illegale con agganci nell’alta finanza internazionale. Il politico siciliano capì che per dare una svolta alla lotta contro le organizzazioni criminali si rendeva fondamentale colpirle nelle ricchezze e nei patrimoni accumulati, indebolirle diminuendo il loro prestigio e potere. Era infatti grazie alle floride entrate garantite dai nuovi business — su tutti il traffico di droga — che le cosche rafforzavano la loro posizione all’interno della società siciliana, pronte ormai a sedersi al tavolo degli affari con rappresentanti della politica, dell’imprenditoria, delle stesse istituzioni. Per gli uomini dello stato impegnati nella lotta alla mafia, la situazione era drammatica, anche per gli insuccessi registrati in ambito giudiziario, con la raffica di assoluzioni per insufficienza di prove che, sul finire degli anni  Sessanta,  chiuse i processi alle cosche  palermitane. La legge che prese il nome da lui costituì una “rivoluzione copernicana” per le sue ricadute operative immediate. La legge ha reso possibili indagini sul tenore di vita, sul patrimonio e sulle disponibilità finanziarie di tutte le persone indiziate di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, ma anche nei confronti dei familiari e conviventi e di quelle persone fisiche o giuridiche, associazioni o enti, dei cui patrimoni costoro risultassero poter disporre. La confisca scatta quando il soggetto non riesce a dimostrare la legittima provenienza delle ricchezze sotto sequestro, e i beni confiscati finiscono nella disponibilità dello Stato.

Per questa proposta di legge  il 30 aprile 1982 Pio La Torre Pio, che si trovava in macchina con il suo autista Rosario Di Salvo fu ucciso. Nonostante i tentativi di sviare le indagini, grazie alla collaborazione di Tommaso Buscetta  il delitto La Torre venne universalmente riconosciuto come delitto di mafia anche in sede processuale, con l’ordinanza-sentenza del Maxiprocesso. Furono condannati all’ergastolo come mandanti Riina, Greco , Brusca e Provenzano. Quando al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa successivamente ucciso nella stessa sequenza di sangue cento giorni dopo l’assassinio del parlamentare comunista, fu chiesto perché avessero ucciso secondo lui La Torre, rispose con formidabile sintesi: “Per tutta la sua vita”.

La mafia aveva paura della sua forza morale e del suo pensiero. Gli strumenti più forti nella lotta alla criminalità organizzata ci vengono dal lavoro di La Torre perché, con la legge che porta il suo nome, si affermano due principi fondamentali: il riconoscimento del reato di associazione mafiosa e la strategia per la confisca dei beni alle mafie. L’eredità di Pio La Torre è tutti i giorni al fianco della democrazia italiana nell’impegno per la legalità di tutti noi

Ancora oggi nell’ anniversario dell’uccisione mafiosa di Pio La Torre e Rosario Di Salvo il movimento antimafia palermitano guidato da Sergio Infuso e Cristina De Leo, in collaborazione con la famiglia Di Salvo,  ricorda questi brutali omicidi, e fa il punto sull’eredità del loro impegno con alcuni ospiti, esponenti dei principali  movimenti antimafia siciliani e nazionali. E’ particolarmente meritoria questa azione di testimonianza e memoria perchè Pio La Torre fu un dirigente politico moderno che intese tenere sempre insieme il mondo contadino e operaio con quello dei nuovi ceti emergenti e produttivi, giovani e associazionismo. L’impegno contro il parassitismo mafioso, già avviata durante la fase dell’occupazione delle terre, si sposò con la straordinaria mobilitazione per la pace e il disarmo della base di Comiso. La Torre non si limitò alla denuncia ma pose particolare impegno nella azione di educazione antimafia Oltre che nell’elaborazione della citata normativa che definendo il reato di associazione mafiosa e colpendo l’accumulazione criminale, gli costo la vita. Gli ospiti della giornata di ricordo organizzata a Palermo per venerdi 30 aprile 2021, a partire dal Sindaco Orlando, ma anche Leo Nodari  come fondatore  del Premio Borsellino, metteranno in evidenza i frutti del sacrificio di La Torre, a cominciare dalla crescita della coscienza civile anti mafiosa e pacifista.

L’eredità di “tutta una vita” di La Torre, riguarda la lezione di un impegno profondo e militante per cambiare le cose, una concezione profondamente vissuta della politica, al servizio – senza retorica – delle classi popolari. La Torre, che aveva radici popolari e umilissime, nella sua cella completò gli studi universitari, affrontò con coraggio la durezza della condizione carceraria e della repressione giudiziaria di quegli anni. L’intreccio tra le speranze di rinnovamento sociale, la battaglia per la riforma agraria, la passione politica e vicenda privata sono connesse come un tutt’uno, e ciò rende splendidamente attuale Pio La Torre.

Leo Nodari