Basta, oggi io riapro. Si torna in scena. Avanti tutti sul palco. Accendete le spie delle casse. Le luci sono piazzate? Il mixer è pronto? Forza tutti i tecnici in sala. Grazie al Governo dei migliori potrò riaprire. Basta con le parole al vento di un anno. Ci volevano i migliori per farmi riaprire. Riapriamo tutti. Forse.
A cinema andrò allo spettacolo pomeridiano delle 18,00. Peccato che a Roma molti cinema aprono alle 20,00. Se aprono. Così potrò andare di fretta, molto di fretta a cena alle 0,30, e mangiare in fretta, molto in fretta una pizza. La birretta no, non c’è tempo.
Ma a teatro no! Non è così. Per i concerti no! Non è così. Gli spettacoli saranno alle 19.00. Se all’aperto saranno alla luce del sole. Forse è questo il new deal energetico. Niente luci sul palco.
E comunque voglio provarci: e comunque per non più di 500 posti. Ammesso di venderli tutti, con una media di 20 euro a biglietto avremmo un incasso di 10.000 euro. Alle 19,00 siamo nel campo del miracolo. Togliendo l’Iva arriviamo a 8.500 €; togliendo la Siae restano 6.500 euro. A questo punto devo dare il 50% alla compagnia (ma è di più oltre a ospitalità), restano 3.250 euro. Con questo ricavo devo pagare il Teatro (a Pescara 1200 € a Teramo di più) diciamo che mi restano 2000 euro. Devo ancora pagare i tecnici del service (se piccolo diciamo 1000 euro), manifesti (300 €) affissioni (500 €) . Restano 200 euro E per finire le tasse. Significa andare incontro a una perdita secca, colossale. Forse alcuni teatri, come quelli che prendono rilevanti fondi dal Fus e hanno produzioni interne, possono affrontare l’apertura. Io no.
In queste condizioni macchinista, fonici, elettricisti, sarte, attrici e attori, operatori culturali hanno denunciato la mancanza di prospettive e di ammortizzatori sociali e, facendo riferimento all’attesa apertura dei teatri, hanno urlato: “Basta con questo copione, vogliamo un reddito di continuità”. “Reddito, diritti, dignità”.
L’annuncio di far aprire i teatri il 26 aprile è come benzina sul fuoco in un momento di estrema fragilità nel settore dello spettacolo dal vivo messo in ginocchio. Si commette l’errore di equiparare musei, cinema, teatri a ristoranti e altre imprese commerciali. La verità è che le regole sono troppo stringenti per noi. La prima è quella di trovarsi in zona gialla. Il teatro ha bisogno di pianificazione. A voler essere ottimisti, ho bisogno di un mese per contattare una compagnia, la quale deve organizzare le prove per gli attori (che non provano da un anno). Inoltre di solito una compagnia si organizza per una tournée, impensabile con regioni di colori diversi e soprattutto variabili. Non troverei nessuno disponibile a prendersi l’impegno di sostenere i costi di allestimento e prove senza certezze di poter proseguire.
Capisco il ministro Franceschini quando dichiara che si tratta di “un segnale importante”, ma il teatro privato non può farcela. Oltretutto i ristori ci hanno fatto contenere la perdita nel 2020 ma, per il 2021, non abbiamo alcuna certezza di questo. Pensiamo solo ai dipendenti in cassa integrazione: se li richiamassi, ma poi non riuscissi realmente a partire, dovrei sopportare costi aggiuntivi anche per loro. A mio avviso il vero punto di svolta lo avremo solo quando un’importante fascia della popolazione sarà vaccinata.
Leo Nodari