L’idea che il calcio sia metafora della vita è decaduta da tempo. Sarà per questo, per il gran vociare che circolava, sarà perché per poco non ho rotto il televisore nuovo guardando la Roma, sarà per tutte queste cose che non mi ha meravigliato affatto se – in piena notte, al termine di una domenica di merda, piovosa, fredda, con i campionati di calcio negati al pubblico, con la Roma che vaffanculo perde pure a Torino – dodici grandi club europei che hanno una motivazione di interessi miliardari e una corte di un miliardo di tifosi adoranti hanno annunciato, con una secca nota di agenzia, di aver raggiunto una intesa per costituire una nuova competizione calcistica cinica, opulenta e parallela. Pronti già nome, e logo stilizzato: è la super league. Un vero terremoto per il calcio. Ricchi contro poveri. È evidente che su tutte ci sia una questione di soldi. Qualcuno pensa che per il calcio sia meglio avere migliaia di abbonati Tv, da Singapore alla Cina, che tifosi veri allo stadio. Finito il tempo del panino freddo, più freddo della birretta e del culo freddo sugli spalti. Quello che conosciamo. Quello popolare. Quello dei tifosi, delle trasferte, della passione, delle incazzature, delle delusioni delle gioie, delle speranze. Quello della palla che corre in un campetto di periferia. Nella scelta dei “Golia” c’è un “ma” gigantesco. Ha a che fare con il calcio e sulla sua meravigliosa storia popolare. E’ retorica? Viva la retorica, in questo caso, perché l’attuazione di questa dichiarazione di secessione sarebbe la morte del resto del mondo del calcio. E’ la distruzione di un modello di sport che ha certamente bisogno di correttivi, ma non in questo modo. Questa roba chiamatela come volete, ma non chiamatela sport.
Secondo alcuni invece, in una fredda domenica di merda di fine aprile, i 12 club hanno ribaltato il tavolo e ci consentiranno di vivere almeno qualche ora di calore, vita entusiasmo, trasporto dell’individuo al di là di sé stesso. Che poi è il modo con cui Durkheim definisce la fede. Per un po’ sono scomparsi i virologi, si sono diradate le nubi del virus nella scommessa di una nuova forma di vita calcistica. Perché, per dirla con Blaise Pascal, la Super League non è che questo: una scommessa. Come con Dio, se scommetti sulla sua esistenza hai tanto o tutto da guadagnare. Se non ci sarà, non avrai nulla da perdere. Potrai tenerti Crotone-Inter di una noiosa domenica sera invece di far sognare milioni di giovani asiatici e di nuovi consumatori pronti a rimpinguare le casse dei club. Le borse applaudono. A molti non interessa la storia del calcio tradito e dei valori mercificati per una scommessa economica. Non interessa se una competizione alla quale i club più ricchi partecipano per diritto vada contro i principi su cui si è fondato il calcio per oltre un secolo.
E i tifosi? Ecco, è di loro che mi interessa, al diavolo “Golia”, i presidenti voraci e calcolatori, e campioni che vivono del proprio culto e volume d’affari. A me preme di quei tifosi che sanno benissimo come già il calcio attuale sia un business, epperò non rinunciano ad identificarsi ancora nei colori della propria squadra, della propria città, che vivono nell’attesa della sfida domenicale, e spendono soldi per abbonarsi (anche in tv, purtroppo) e aspettano con ansia di tornare sugli spalti per portare i loro figli con le bandiere, a sostenere i propri idoli. A me piacciono, da sempre, le storie dei Davide che abbattono i Golia. E fa niente se poi l’anno successivo le busca come sempre.
Questa storia lascia senza parole, davvero ? E’ possibile pensare di dividere il pallone, per scissione a tavolino, in ricchi e poveri ? Se questo doveva essere un metodo per risollevarsi, si è sbagliata sicuramente strada. Il calcio va promosso come sport per tutti. Essere tesserati Uefa permette oggi anche alle squadre di serie minori di avere i soldi per poter giocare i tornei. La super lega dei “Golia”, invece, è solo businnes e toglie i soldi per aiutare lo sport. Questo è cinismo puro, che non ha nulla da spartire con lo sport. E mi sembra che i tifosi in generale non ne siano assolutamente contenti . Secondo me tutti questi scontri diretti ad alto livello alla fine stuferanno ma magari è solo un impressione. Vedremo. Ecco, ripensare il calcio, su fondamenta nuove, sì. Per fare del bene al pallone dei ricchi. Va bene. Ma solo se serve anche a quello dei poveri. Per questo oggi sono costretto a tifare ancora per Davide e gridargli “Dai re Davide, rompigli il culo ancora una volta a quel filisteo prepotente di Golia”