Se fosse stato il “lurido negro” che ruba una bicicletta strausata, o un “maledetto rom” che ruba 4 mele, avremmo sentito molte più urla di giubilo, e nessuna voce dei garantisti un tanto al chilo. Invece se si suicida un dirigente della Asl di Pescara dopo una interminabile lista, addirittura si sono scomodati due ministri. Per i poveri cristi in galera non si scomoda più nessuno se non Papa Francesco e qualche volta Dio. Ma raramente. Del resto si sa, quella scritta che campeggia inutilmente nelle aule di giustizia e pura fuffa, e la classica immagine legata alla giustizia, quella della bilancia, è stata sostituita da quella di un bambolotto con maglioncino di kashmir blu a collo alto, che somiglia a Palamara.
Mi sono anche impegnato ma non ho trovato scritto che gli investigatori, nella conferenza stampa tenuta al termine dell’operazione, hanno diffuso una nota secondo la quale :”… il dirigente Sanitario, nel corso delle indagini ha esplicitamente ammesso con alcuni suoi interlocutori di essersi adoperato in favore degli interessi illeciti della Cooperativa e dei suoi rappresentanti anche nell’intento di accrescere il proprio consenso elettorale in adempimento di un pregresso accordo corruttivo stretto tra i due suddetti emissari del consorzio e il dirigente del dipartimento di Salute Mentale dell’Ausl di Pescara, avente ad oggetto il pagamento di indebite somme di denaro in contanti e altre utilità per oltre 50mila euro…”
Forse è bene precisare che non tutti i dirigenti si fanno corrompere. Non tutti rubano. Qualcuno si sorprenderà ma ci sono anche gli onesti che fanno onestamente il proprio lavoro, che tutelano i più deboli, che lasciano vincere gli appalti ai più meritevoli anche se non li votano e non li pagano. Ecco, lo ripeto, ci sono anche tanti dirigenti, impiegati, professionisti onesti che la giustizia dovrebbe tutelare facendo appunto giustizia. E ci sono tanti magistrati che sanno come applicarla.
Mentre leggo del suicidio del dirigente del dipartimento di salute mentale della Asl di Pescara arrestato a Pescara per corruzione, su La7 l’ottimo programma “Atlantide ricorda la storia di “mani pulite” con i suicidi eccellenti di Gabriele Cagliari, Sergio Moroni, Raul Gardini, anche loro suicidi in carcere dopo un arresto per corruzione. Storie simili in tempi diversi e somme diverse. Ricordo bene il grande dibattito che si sviluppò sulle funzioni del carcere e della custodia cautelare, di cui i magistrati che condussero quelle indagini si erano serviti stabilmente per ottenere delle confessioni dagli imputati, tutti uomini poco abituati alle durezze del carcere. Il Paese si divise. Per molti i magistrati considerano il carcere nient’altro che uno strumento di lavoro, di tortura, psicologica, dove le pratiche possono venire a maturazione o ammuffire, indifferentemente, anche se si tratta della pelle della gente. Il carcere dunque per costoro non è altro che un serraglio per animali senza testa né anima. Per molti il carcere era l’unico sistema per far confessare chi era e/o aveva corrotto.
Non credo che il carcere possa essere la soluzione dei problemi sociali. Anche a me ovviamente dà fastidio che resti impunita la criminalità dei cosiddetti colletti bianchi, in realtà rossi del sangue dei lavoratori e del popolo. Tangentisti, responsabili di omicidi bianchi, corruttori e corrotti, ecc. sono i colpevoli delle principali piaghe sociali dell’Italia odierna e vanno puniti in modo esemplare. Ma occorre tener conto del fatto che, anche nei confronti di costoro, esistono pene ben più efficaci che devono essere messe in piedi, soprattutto la confisca parziale o totale del patrimonio, tranne il beneficium competentiae (beni essenziali alla vita) e il disprezzo pubblico. Da questo punto di vista, occorre osservare come il potere reagisca chiudendosi sempre più nel segreto, dalle reazioni isteriche dei membri della casta. Come sostiene da tempo il Procuratore Gratteri. Per questo è necessario rilanciare oggi la lotta per la trasparenza, come garanzia di lotta all’impunità e sanzione di per sé, per i quali esclusione dalla comunità e disapprovazione sociale costituiscono potenti sanzioni penali. Altro che solidarietà. Nei casi più gravi campi di lavoro e rieducazione che consentano di realizzare le finalità di cui all’art. 27 della Costituzione (rieducazione, appunto, del reo condannato).