Hanno suonato la mattina presto, di un giorno qualunque. E quello che non avresti mai immaginato è successo. Un dito puntato mentre sei ancora in ciabatte e maglietta, e il mondo ti cade addosso: arrestato! Una denuncia contro di te, un’indagine di cui non sai nulla, una persona ti accusa di qualcosa, ma tu non sai nulla: violenza!
Un foglio, un solo foglio, che parla di arresti domiciliari, perché in libertà sarebbe stato un individuo pericoloso ? Perché c’è pericolo di fuga? C’è scritto arresti domiciliari ma non sai perché. E così a 65 anni ti ritrovi ad essere un mostro. Colpito al cuore. Mirato. Colpito. Affondato. E ancora non sai perché.
Sei solo, spaesato, in un mondo assolutamente nuovo, sconosciuto. Le porte blindate ti si chiudono alle spalle anche se resti a casa, mentre il tuo mondo va in frantumi fuori, mentre con la mente vaghi in un’odissea di pensieri mortali e disperazione cosmica. Mentre scende la neve.
Niente telefono, niente contatti con l’esterno. Sei solo con le tue lacrime che non puoi più trattenute perché tu sai di non essere un mascalzone violentatore. Con la sensazione del soffitto che sempre più si abbassa sopra di te e non è quello il posto in cui vorresti stare in quel preciso momento. Mentre scende la notte. Su tutto. Sulla tua famiglia, sul tuo lavoro. Sulla tua professione. Sulle tue amicizie. Sulla tua storia.
Non puoi parlare e non hai voglia di parlare. Sai che si tratta di un orrendo sbaglio. Forse è un sogno. Forse ora mi chiamano, per dirmi che è tutto un errore . L’avvocato, un amico, ti dice di non essere così triste, che “tanto domani verrà il GIP e ti concederà la libertà”, perché per loro, dopo aver letto le motivazioni del giudice richiedente il carcere preventivo, “ci sono degli sbagli, non torna nulla, subito si esce liberi”. Pensi che dovrai attendere solo poche ore per uscire. E, invece, sei ancora lì dopo tanto, troppo tempo; il tuo fisico si abitua ma la mente assolutamente no.
Perennemente sdraiato sul letto pensi che la tua vita comunque è finita, non appena oltrepassata la soglia dell’arresto, e non riusci a progettare nulla, se non la speranza che da un momento all’altro giunga finalmente il GIP a chiarire definitivamente l’inghippo tremendo. E più le ore trascorrono, e più il senso d’impotenza ti divora. E la rabbia è sempre più vivida, in quanto capisci che ce l’hanno davvero con lui, che la violenza la sta subendo lui, e che il carcere della casa può essere ancor più distruttivo di quello vero.
I familiari sono annientati dal dolore, dalla paura, dalla disperazione più cupa. La luce sempre bassa, i muri bianchi riflettono la malinconica disperazione di chi è costretto a vivere lì dentro, certi di non aver fatto nulla. Anche la casa più bella diventa un luogo di tenebre e umido, con lunghi, interminabili corridoi dove vedi sbarre invisibili Sensazioni e esperienze vissute giorno per giorno, costretto a stare in un luogo che non è quello dove vorresti stare. Con un impatto che con questa terribile esperienza che ti segnerà a vita.
Talvolta chiudi gli occhi e rivedi tutta la sua vita, ma nel contempo perdi la linfa vitale della tua esistenza, nel cuore una grande voglia di vita, e la speranza di una verità finalmente riconosciuta. Ma, intanto, manca la voglia di resistere, e la pietà misericordiosa ti invade, ma non riguardo a te, ma per quelle maledettissime persone che lo avevano tirato dentro. In una condizione del tutto nuova, quella del vuoto, che segue alla perdita senza preparazione del senso della propria vita, oltre che allo smarrimento.
Come ho scritto ieri “a caldo” conosco Francesco Ciarrocchi da 40 anni. Con lui (e altri) ho diviso un appartamento a Roma in via Vicenza. Ho diviso momenti di divertimento e di impegno, esami, pranzi al volo, cene inventate, libri, storie, serate, ideali, amicizie, paure, e tanto altro, da giovane studente che dalla provincia raggiunge la capitale per studiare. Oggi Franco è stato arrestato con una accusa infamante. Forse la più infamante. Violenza su una donna. Sento il dovere di dire nuovamente, contro corrente, che NON CI CREDO. E comunque è da ritenersi innocente fino a prova contraria. Non conosco i fatti e nessuno li conosce. Non conosco la ragazza giustamente tutelata. Ma conosco Franco. Lo conosco e per questo non ci credo. Un conto è accusare. Un conto è arrestare. Un conto è essere veramente colpevoli. Sono tanti, troppi, i casi in cui un mostro viene buttato in pasto agli sciacalli e poi escono innocenti. Per questo starei molto attento ad accusare un professionista, ginecologo, padre, che ha salvato tante donne, tante famiglie e tante vite. Accusare è facile. Ma io non ci credo. E comunque è da ritenersi innocente fino a prova contraria.
Leo Nodari