SANT’OMERO – Accade che abbiamo in casa delle cose che sono lì da sempre, come soprammobili muti e invisibili, di cui ci ricordiamo una volta tanto, come un quadro appeso ad una parete ereditato da generazioni e di cui non ricordiamo neanche l’autore. Se solo porgessimo più attenzione, ci accorgeremmo a volte di avere in casa qualcosa di valore. Come a Sant’Omero, il 3 febbraio è la festa di San Biagio, il santo che cura e protegge dal mal di gola: questo il culto, che fedeli d’occidente e d’oriente, di chiesa cattolica e di chiesa ortodossa, venerano fin dal terzo secolo d.C., anno della “pax costantiniana”.
Già all’alba i fornai sfornano i taralli di San Biagio che portano a benedire per vendere poi nei propri negozi. Quest’anno il parroco Don Patrick ha annunciato che i taralli saranno distribuiti anche in chiesa per dar modo ai fedeli di riportarli a casa e distribuirli in famiglia.
È il primo passo, forse, per riscoprire quel tesoro che avevamo in casa e a cui non davamo troppa importanza, a cui non abbiamo, negli anni trascorsi, offerto il giusto spazio di importanza. Omaggiare la festa di San Biagio con un nuovo folclore è l’obiettivo che la comunità civile e religiosa dovrebbe porsi, con una plateale distribuzione dei taralli all’anice benedetti, una tradizione che è molto sentita a Sant’Omero, che ha importato forse dal pescarese e che vanta da anni. Anche le origini di queste tradizioni locali sarebbero da approfondire e riportare alla luce, in modo da rinverdire e impedire che venga cancellata per sempre una parte di storia della nostra valle.
di Pasquale Felix