L’irruzione risale al 10 gennaio: durante una presentazione online del libro La generazione del deserto (Manni, pagine 256, euro 16,00), nel quale la scrittrice Lia Tagliacozzo ricostruisce le vicenda della sua famiglia di ebrei romani durante la Shoah, un gruppo di disturbatori è riuscito a intromettersi con insulti, minacce di morte, slogan nazisti e immagini di croci uncinate. Se ne è parlato molto, anche se, commenta l’autrice, «è uno stupore che un po’ mi stupisce». A vent’anni esatti dalla prima celebrazione del Giorno della Memoria, i segnali di antisemitismo e, più in generale, di intolleranza tornano a manifestarsi con frequenza inquietante. Non è soltanto un retaggio del passato, se è vero che molti giovani ebrei e comunque “diversi”, si trovano a fronteggiare i pregiudizi dei coetanei. Compreso quello per cui tra storia e memoria verrebbe a prodursi un conflitto.
«L’elemento irrinunciabile – per Lia Tagliacozzo che sarà online il 25 gennaio con gli studenti dell’Istituto Moretti di Roseto per le iniziative della “officina della legalità” del Premio Borsellino tutto l’anno – è rappresentato dal valore del Giorno della Memoria, che permette di parlare pubblicamente della Shoah. La mia convinzione è che in Italia non si sia ancora sviluppata una coscienza storica e civile di quello che il fascismo ha rappresentato. Un discorso complesso, che coinvolge la cosiddetta “zona grigia” della quale si da conto anche nel libro. Ma questa mancata consapevolezza resta un fatto pericoloso, che ha molto in comune con le esplosioni di intolleranza che negli ultimi tempi si sono fatte solamente più rumorose rispetto a qualche tempo fa. Non ci si può illudere che l’antisemitismo sia un problema di oggi. Anche in Italia è sempre esistito, ora però ha conseguito una sorta di legittimità, che troppo spesso viene confusa con la libertà di espressione».
«Fin dal principio le celebrazioni del Giorno della Memoria sono state funestate da atti di vandalismo, intimidazioni, oltraggi. Qualcuno ha addirittura preteso che esistesse un rapporto di causa-effetto, come se l’intolleranza fosse l’esito di un eccesso di memoria. Non è affatto così – continua la scrittrice – e non solo perché l’antisemitismo è sempre esistito, appunto, ma anche perché è mutato e continua a mutare nel tempo, sollecitato da fattori diversi, di natura politica e sociale. Proprio per questo occorre soffermarsi ancora ad ascoltare la voce dei testimoni, i cui racconti costituiscono una risorsa irrinunciabile per la ricerca storiografica. La persecuzioni degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale è molto studiata, è vero, ma a un certo punto i momenti cruciali dell’arresto, del viaggio nei treni blindati e dell’arrivo nei lager non erano ancora stati approfonditi. E per capire che cosa accadesse in quelle giornate terribili non si può fare altro che affidarsi alle testimonianze dei sopravvissuti».
Oggi l’intolleranza rischia di essere più accettata rispetto al passato, lo sappiamo, e l’affiorare di nuove forme di rivendicazione identitaria va di pari passo con il permanere, nella memoria collettiva, di zone d’ombra che pochi sembrano disposti a esplorare. Senza trascurare il fatto che, per fortuna, dal passato si può anche imparare qualcosa di buono. Pregiudizi che un tempo sembravano insuperabili, sono venuti a cadere grazie al cammino compiuto dalle Chiese dopo la Shoah, anche attraverso la riflessione del Concilio Vaticano II. Anche a questo serve l’alleanza tra scuola, testimonianza, storia e memoria.
Leo Nodari