TERAMO – La scrittrice abruzzese Luisa Gasbarri è nota al pubblico soprattutto per i manuali dedicati alla nostra regione, come il famosissimo “101 cose da fare in Abruzzo almeno una volta nella vita” (Newton Compton). Oggi, dopo il suo celebre esordio di qualche anno or sono (L’istinto innaturale), è tornata a confrontarsi con un suo antico amore letterario: il thriller.
Il nuovo parto letterario della Gasbarri, “Il male degli angeli” (uscito a fine luglio ed edito da Baldini+Castoldi) si immerge nelle inquietanti atmosfere del “noir shoking” e racconta di uno scomodo passato destinato a ricongiungersi ad un presente altrettanto ambiguo.
Il romanzo sceglie di privilegiare alcuni degli anni cruciali della Seconda guerra mondiale, investigando tra i segreti più oscuri e meno noti del Terzo Reich, attraverso la prospettiva narrativa del giallo.
Come mai, chiediamo all’autrice, una scelta del genere?
Il thriller è un genere letterario molto elastico, ben si presta a raccontare anche la Storia, perché la Storia è spesso assai più misteriosa di come la immaginiamo. Diamo per esempio per scontato chi siano stati, e perché, i vincitori e i vinti del più vicino e spaventoso conflitto mondiale che ci siamo lasciati alle spalle. Tanti i nessi che possono sfuggirci, finendo relegati a volte nei meandri sperduti di ricostruzioni dei fatti meno agevoli o accettabili, che quindi fatalmente finiscono per diventare solo oggetto di folclore, leggenda, indagine alternativa.
Del nazismo si può affermare, senza timore di essere smentiti, che la nostra conoscenza è parziale, come spesso è purtroppo parziale anche la nostra conoscenza dell’animo umano.
Lo scenario contemporaneo in cui si muovono i personaggi al presente è quello dell’Interpol, un ambiente investigativo non così noto al grande pubblico. C’è un motivo particolare per cui compare nel libro?
L’Interpol è a livello investigativo una realtà internazionale che ben si prestava all’ampio respiro della vicenda, che non solo si muove tra passato e presente, ma anche tra Roma e Berlino. I suoi meccanismi sono probabilmente meno familiari ai lettori, e avevo bisogno di una sfondo nuovo, più mobile e cangiante. La stessa protagonista è in parte priva di una solida appartenenza geografica, non a caso mi è venuto naturale immaginarla ebrea: Sara è sradicata, priva di saldi riferimenti anche come investigatrice, ma rappresenta proprio per questo un punto di vista diverso sul mondo.
Sara, appunto. In questo romanzo compaiono molti personaggi femminili. Alcuni inquietanti e compromessi, altri di più difficile inquadramento. Che valore ha lo sguardo femminile rivolto al mondo?
Essendo inserite in un mondo le cui coordinate sono progettate dagli uomini, le donne devono spesso combattere il doppio per preservare una loro integrità, far valere le proprie scelte, difendere la libertà che cercano ancora di conquistarsi. Ma si commette un grosso errore a parlare delle donne come se rappresentassero una categoria facilmente definibile, riconoscibile: l’irriducibilità individuale è sovente sottovalutata in relazione all’universo femminile. E invece le donne subiscono in modo assai differente i condizionamenti maschili, per esempio, sono davvero differenti le une dalle altre, i loro percorsi inaccostabili, le loro identità fluide e complesse, fosse solo per difesa, o per l’allerta costante in cui vivono. I loro sguardi sono preziosi per afferrare l’indefinibile, ciò che di interstiziale garantisce in genere una nuova visione delle cose.
Ma perché ripercorrere un periodo legato al Nazismo, legato soprattutto all’esoterismo?
Diciamo che mi sono imbattuta in questa vicenda quasi per caso. In realtà cercavo esempi di sodalizi femminili, casi storici di associazionismo tra donne, visto che il tema è un grande tabù e si continua a negarne l’esistenza. La solidarietà non viene favorita tra le donne. Esse fanno propria semmai la competitività maschile che tende a indebolirle e dividerle, e le rende assai più manipolabili. Perciò mentre cercavo esempi storici di sorellanza, di sodalizi forti, ho scoperto questo gruppo di donne che operò in pieno nazismo all’ombra di Hitler. Una vicenda che permetteva di esplorare la resilienza e le risorse del femminile in un frangente storico delicatissimo, e che tali risorse fossero occulte era ancora più interessante. L’esoterismo femminile è del resto un altro grande tabù.
In un mondo così legato ai social e all’immagine viene da chiedersi il perché si scelga ancora di affidare le narrazioni ai libri, alle parole.
La parola è salvifica. Le è legato quel portato simbolico che nessun elemento visivo può veicolare abbastanza, si pensi alla parola poetica, sempre disvelatrice, quasi magica all’occorrenza.
Tanto meno quindi il libro è una sopravvivenza del passato: solo il romanzo può rappresentare in modo polifonico ciò che ci circonda, farne esplodere le contraddizioni, coglierne i movimenti di involuzione o progresso che affiorano sottotraccia. La pagina ci intrattiene, ci fa riflettere, ci forma, ci educa, ci orienta verso nuovi pensieri, ci cambia… E su tutto, ci emoziona. Unire le emozioni che può offrire la suspense alla imprevedibilità della Storia meno nota è l’obiettivo di questo libro.
Una spiegazione del titolo senza spoiler sarebbe possibile…?
Il titolo è un ossimoro. Come possono compiere il male gli angeli, che, come è noto, del peccato sono privi e solo riflettono la volontà di Dio? Ma è proprio nelle cose che più diamo per scontate che si annida l’imprevisto, il perturbante. E riflettere la volontà di Dio non è poi così ovvio, se abbiamo conferito il nome di Dio all’interlocutore sbagliato.