TERAMO – Sappiamo che i notiziari televisivi danno spazio ad una rappresentazione dei fenomeni come il giornalismo desidera narrarli.

Pertanto, evidentemente, lo stridente contrasto tra le piazze vuote durante il lockdown e quelle gremite e vocianti quando è stato possibile concedere una riapertura, in seguito al rallentamento del contagio, ha prevalso come narrazione dell’atteggiamento giovanile, all’insegna della liberazione per uno stato di reclusione troppo a lungo sopportato.

Per cui è passata nell’immaginario collettivo che gli unici giovani in stato di scarso equilibrio (perché irresponsabilmente stavano mandando a rotoli il rallentamento del contagio) fossero i frequentatori delle piazze dall’aperitivo facile e con l’unico desiderio di mettersi alle spalle una parentesi di giorni senza uscire che si era protratta oltre il tollerabile.

Esistono, al contrario, giovani e adolescenti che non desiderano riprendere la vita di relazione, che forse avevano molto ridotta anche prima del lockdown e che questa domiciliazione forzata ha reso oggi fortemente limitata se non azzerata.

Di questo dobbiamo occuparci, almeno in pari misura di quanto ci occupiamo dei ragazzi che chiassosamente invadono piazze e vicoli dei centri storici nell’ora dell’aperitivo.

Credo sia necessario registrare e dare visibilità al fenomeno del “ritiro sociale” che è una tendenza che abbiamo già osservato, nel momento in cui ci limitavamo a constatare di adolescenti e giovani sempre più restii ad uscire dalla propria camera, addirittura propensi a farsi portare il pranzo nella propria stanza, arrivando persino ad avere un rapporto rarefatto anche con i familiari.

Quanto questo fenomeno, per effetto del covid.19, si è ampliato, ha insidiosamente allargato e moltiplicato i sintomi, quanto ha di fatto esteso la sua incidenza nel mondo giovanile?

Questo mi pare debba essere una “spia” di cui il sistema sanitario debba occuparsi, evitando di assumere il comportamento che si ispira al proverbio “occhio non vede, cuore non duole”.

Rispetto a questo “esercito di ragazzi e giovani che si auto recludono” c’è poi una connivenza voluta e messa in atto a scopo protettivo, dai genitori e dalle mamme soprattutto, che non amano dare risalto a questa prolungata domiciliazione dei propri figli; forse perché la considerano una “pausa” dal sociale momentanea, che potrà interrompersi quanto prima.

La realtà è che questi ragazzi, creandosi un “mondo tutto proprio”, finiscono per idealizzare una realtà interna che non ha riscontro con la situazione che c’è fuori dalla propria camera.

C’è bisogno allora di esperti che sappiano, con delicatezza ma professionalità, operare in direzione di un accompagnamento di questi soggetti verso un esterno che possa essere percepito come meno infido e minaccioso rispetto a quanto è stato da loro mentalmente elaborato.

Ernesto Albanello