È difficile, in questo periodo, scrivere di qualcosa che non abbia riferimento alla situazione di emergenza che stiamo vivendo.
Fermo restando, però, tutte le preoccupazioni e le accortezze che la situazione impone, e che sono state ampiamente sottolineate da più parti (anche se c’è, ancora, chi non riesce a comprendere la vera dimensione dell’emergenza, sottovalutandola), proverò a fare qualche considerazione per il futuro.
Il virus, è stato già scritto, ha messo in luce la nostra fragilità di fronte all’imponderabile, alle forze di quella natura che crediamo di poter governare ma che, sempre più spesso, ci ricorda che non è così.
Quindi sarebbe utile, da questa esperienza, trarre alcuni insegnamenti che dovranno, in futuro, aiutarci ad affrontare altre criticità che, sicuramente, si manifesteranno.
Va evidenziato che morti dovute alla malattia ci spaventano molto di più di quelle indotte dai nostri comportamenti.
In Italia, nel 2012, le morti premature attribuibili all’esposizione a particolato sottile (PM2,5) sono state 59.500, all’ozono (O3) 3.300 e al biossido di azoto (NO2) 21.600. Il nostro Paese è il primo dell’UE per morti premature da biossido di azoto (NO2) e nel gruppo di quelli che sforano sistematicamente i limiti di legge per i principali inquinanti atmosferici (fonte Agenzia Europea dell’Ambiente).
Sempre in Italia nel 2018 sono stati 172.553 gli incidenti stradali con lesioni a persone , in calo rispetto al 2017 (-1,4%), con 3.334 vittime (morti entro 30 giorni dall’evento) e 242.919 feriti (-1,6%).
Non va meglio sul fronte dei luoghi di lavoro, dove, nel 2018, sono stati registrati 1.218 decessi per incidenti professionali, e 59.600 casi di denunce di malattia professionale, con 1.177 morti tra chi ha sofferto di tali patologie.
Questi numeri dovrebbero farci riflettere, facendoci comprendere che, in realtà, viviamo una continua emergenza che, di solito, tendiamo ad ignorare, anche a livello normativo, sottovalutandone gli effetti.
Forse non è un caso che il boom di contagi da coronavirus sia scoppiato proprio in quelle regioni a maggior tasso di inquinamento (un organismo già debilitato è più soggetto ad ammalarsi), e adottare, da subito, buone prassi di igiene urbana potrebbe sicuramente aiutare, nell’immediato e in futuro, a rispondere meglio ad emergenze quali quella attuale.
Purtroppo i decisori politici sono poco inclini a comprendere che il rapido cambiamento climatico, che porta trasformazioni ambientali considerevoli anche nei nostri territori, ha bisogno di msiure immediate, anche urbanistiche ed edilizie, che pemettano la mitigazione e l’adattamento a situazioni in rapida modificazione.
Favorire la molteciplità di funzioni in ambiti ristretti, minimizzare gli spostamenti motorizzati individuali, ampliare la dotazione di verde e di spazi collettivi all’aperto, individuare e rafforzare servizi specifici per fasce di popolazione, con particolare attenzione al fenomeno dell’innalzamento dell’età media, sono tutte azioni che vanno messe in campo subito, con il supporto multidisciplinare di esperti, in modo da correggere, se non di evitare, comportameni errati e modi di vivere dannosi.
In questi giorni, la diminuzione della socialità imposta dalle precauzioni dovute all’infezione, mettono alla luce la mancanza di luoghi all’aria aperta e al chiuso da poter vivere senza avere contatti stretti con altre persone. Piazze, slarghi, persino aree verdi, sono spesso sacrificate per ricavarvi parcheggi. I piccoli negozi di vicinato scompaiono a favore della grande distribuzione. I servizi di quartiere diminuiscono in nome di una centralizzazione che, non sempre, vuol dire maggiore efficienza.
Passata l’emergenza, quindi, sarebbe il caso di ripensare le nostre città, e il nostro modo di vivere. Prima che qualcosa, nuovamente, ci metta davanti ai nostri limiti.
L’urbanistica e la pianificazione territoriale sono gli unici strumenti idonei per governare tali cambiamenti. Utilizziamoli.
Raffaele Di Marcello